Salute

LE TESSERE ED IL MOSAICO : “ De lamentatione jeremiae profetae” di don Salvatore Callari

Don Salvatore Callari

LE TESSERE ED IL MOSAICO : “ De lamentatione jeremiae profetae” di don Salvatore Callari

Dom, 02/08/2020 - 08:00

Condividi su:

Don Giuseppe Callari

Perché questo titolo : è facile supporre che non molti o forse nessuno sa che si tratta dell’ultima parte del libro di Geremia, chiamata “ le lamentazioni”, Sostanzialmente è una lunga effusione di angoscia, di un animo pieno di amarezza. Non ha lo scopo di risolvere il problema del dolore, ma quello di esprimerlo con profonda intensità. E per noi, oggi, qui, è una specie di “ cahier de doleance” ( litania di lamenti ) nel caso biblicamente ( geremiadi ) per quanto vissuto in questi tempi. Constatando la realtà nella quale siamo immersi e non potendo fare nulla che ci aiuti a cambiarla, subentra una amara delusione , continua e pungente, e restiamo impotenti e rassegnati, non senza sentirci inondati di sdegno e di condanna di tutte le ragioni, che ingiustamente e colpevolmente creano o favoriscono questa atmosfera, talvolta lugubre. Ci accompagnano e vivono dentro di noi certe immagini di una eloquenza nuda e desolante. Il profeta, a quel tempo, pensando alla sua città, scrive : “ come siede solitaria la città, già piena di popolo” E oggi, come cancellare dalla memoria quelle immagini di una sconsolata solitudine, attraversata , nel silenzio opprimente, da una figura, i cui passi stampano sulla terra l’impronta dello sconforto, che ha logorato gli animi, scrivendo pagine di storia scolpite su pagine di pietre: “perché grande come il mare è il tuo dolore” (Geremia). Mentre l’umanità attonita può dire, tra singhiozzi,” tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza” ( Salmo ) E quasi come dinanzi ad un ipotetico “ muro del pianto ”, nelle piazze o dentro le nostre abitazioni, ci martella il pensiero la parola della Bibbia, e dopo essersi esaurita ogni resistenza, sprigiona con parole che sembrano le note di un canto mesto , il lamento, “ sono sfinito dal gridare, riarse sono le mie fauci”. Così pure potremmo sentirci flagellati dalla muta e spoglia espressione di un canto greco : “c’è un fiume amaro dentro me”( Teodorakis ) .

Pregevole la musica e splendida la esecuzione , italiana, che sembra raschiare nel fondo del cuore una pena raggrumata tra gli affanni. E chi ha sensibilità lirico- musicale avverte un sottile incantamento, che nella magia di indomabili sogni, pensando anche all’ incommensurabile manto di tristezza , che copre la faccia della nostra terra, evoca, il poeta, che lacrima sulla sua città, col senso di innata fraternità: “ Il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca” ( Fusinato ) E non si spegne la luce della speranza, che con timidi raggi penetra nelle regge e nei tuguri, sollecitando la fervida invocazione: “ rendici la gioia per i giorni di afflizione, per gli anni in cui abbiamo visto la sventura.” ( Salmo ) e lo spirito che langue, pur tra gli spasmi di dolorosa memoria, si sente rinascere, invocando ancora “ Muta, Signore, il nostro lutto in danza”(Salmo) . Invitiamo , in fine, a chiudere, un altro grande della poesia : “E’ il mio cuore, il paese più straziato”( Ungaretti) Scripsi” in amaritudine animae meae.”