“Messina Denaro si oppose all’idea di mettere le bombe nei templi di Selinunte, disse “questi sono pazzi”. Lo ha affermato il procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, che, davanti ai giudici della Corte d’Assise nissena sta conducendo la requisitoria nel processo in cui il latitante di Cosa nostra e’ imputato per essere uno dei mandanti delle Stragi del ’92.
“Il protagonismo di Matteo lo troviamo nell’intera stagione stragista – ha detto Paci durante la requisitoria, giunta alla settima udienza – e il suo nome e’ il collante tra diversi ambienti che si coagularono in quel periodo”. Il riferimento e’ alle riunioni dell’autunno del 1991, ma anche ad altri eventi intermedi come la missione romana del febbraio-marzo 1992, il fallito attentato al giardino di Boboli, ma anche gli incontri con Paolo Bellini, ex di avanguardia nazionale adesso imputato per la Strage di Bologna.
Fu dagli incontri con Bellini che usci’ fuori la frase ‘pensa che succede se cade la torre di Pisa’, anche se – da quanto raccontano i collaboratori – non e’ chiaro se la paternita’ fosse sua o di Nino Gioe’, poi morto suicida in carcere (il 28 luglio 1993)”, ha detto Paci. “Si parlo’ anche di mettere delle bombe nei templi di Selinunte – ha continuato il magistrato – ma il collaboratore Vincenzo Sinacori ci riferisce che Messina Denaro esclamo’ dicendo: “questi sono pazzi”. Selinunte e’ a Castelvetrano e tutti volevano fare gli attentati, ma nessuno lo voleva fare a casa propria.
Era in auge il teorema Buscetta – ha aggiunto Paci – e fare l’attentato sul proprio territorio sarebbe servito a firmare la Strage, in questo caso da parte di Messina Denaro”. Poi, il 27 maggio 1993, la strage dei Georgofili, per la quale Messina Denaro fu condannato all’ergastolo. Secondo quanto riferito dal pm, “ci sono almeno due punti che collegano il contatto di Bellini e Gioe’ a Messina Denaro. Il primo e’ il riferimento alla massoneria trapanese, “se c’e’ qualche problema noi possiamo fare intervenire i massoni trapanesi”. Il secondo e’ la trattativa sulle opere d’arte trafugate in Sicilia, che Gioe’ segnalo’ a Bellini, e i collaboratori riferiscono che il padre di Matteo, don Ciccio Messina Denaro, da tempo trafficava con le opere d’arte”.