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Migranti, nigeriane schiave nella ‘terra promessa’: 10 arresti, anche a Caltanissetta

Redazione

Migranti, nigeriane schiave nella ‘terra promessa’: 10 arresti, anche a Caltanissetta

Ven, 12/06/2020 - 11:07

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Giovani, giovanissime nigeriane, rese schiave e vendute in Italia, considerata dalle vittime come la ‘terra promessa’, ma diventata il prolungamento del loro inferno. Sono dieci i migranti arrestati tra Catania, Messina, Caltanissetta, Verona, Novara e Cuneo nell’operazione anti-tratta “Promise land”, condotta dalla polizia di Stato e coordinata dalla procura di Catania. Le indagini della Squadra mobile sono scaturite dallo sbarco del 7 aprile 2017, presso il porto di Catania, dalla “Aquarius” della ong Sos Mediteranee.

Svelato un traffico di giovani donne nigeriana. Ai dieci (complessivamente sono 14 le persone indicate nell’ordinanza, ma 4 sono irreperibili) sono state contestate anche le aggravanti della transnazionalita’ del reato, di avere agito mediante minaccia attuata attraverso il rito del voodoo. Alle vittime, talvolta minorenni, non veniva detto che sarebbero state avviate alla prostituzione, ma piuttosto che avrebbero avuto un lavoro legale. L’indagine e’ partita dalle dichiarazioni di una giovane nigeriana giunta il 7 aprile di tre anni fa insieme ad altri 433 migranti a Catania.

Era stata individuata dal team di investigatori della Sezione Criminalita’ straniera, specializzato nella cosidetta “early identification” di presunte vittime di tratta. Interrogata, ha detto di avere lasciato il suo paese perche’ convinta da un connazionale di nome Osas, che le aveva proposto di raggiungerlo in Italia, promettendole un lavoro lecito e anticipandole le spese del viaggio.

Sono emersi vari dettagli sulla fase del reclutamento in Nigeria (dalla indicazione del “Ju-Ju man”, ovvero lo stregone che aveva officiato il rito, alla procedura del giuramento e della sottoposizione al rito “Ju-Ju”, sotto la minaccia del quale la giovane aveva assunto il solenne impegno di non denunciare, di non fuggire e di pagare il debito assunto, ammontante a 25 mila euro, alla fase del trasferimento in Italia dalla Libia, dove e’ stata imbarcata su un natante di fortuna. Le ulteriori indagini hanno permesso di identificare “Osas” nell’indagato Osazee Obaswon, che si trovava a Messina. Ricostruito il gruppo criminale transnazionale, con cellule operative in Nigeria, Libia, Italia ed altri paesi europei, specializzato nell’attivita’ di ‘human trafficking’, permettendo di accertare numerose vicende di tratta (almeno 15) ai danni di altrettante connazionali.

Il leader dell’organizzazione, Osazee Obaswon, collaborato nel suo Paese dai familiari addetti al reclutamento e ai riti magici (ripetuti piu’ volte, anche tramite conference call, in caso di violazione degli obblighi) intratteneva i rapporti con i connection-man stanziati in Libia, incaricati di curare la fase finale e piu’ pericolosa del viaggio: la traversata via mare dalle coste libiche a quelle dell’Italia, ritenuta dalle vittime una vera e propria terra promessa dove avrebbero potuto sottrarsi alla miseria del paese di origine, aiutando anche i familiari. Una volta giunte in Italia le vittime venivano, invece, sfruttate e smistate in luoghi diversi del territorio italiano.

 Del gruppo faceva parte una componente ‘italiana’ costituita da Osazee Obaswon, detto Ozed, il capo indiscusso, William Tessy. detta Silvia, James Arasomwan; una componente nigeriana (i familiari di alcuni degli indagati e altri con il ruolo di reclutatori); una componente libica (costituita dal connection man, ai quali ci si rivolgeva per il trasferimento via mare. Alcune delle vittime erano immesse nel circuito della prostituzione delle strade messinesi, dove l’indagata Belinda John (gia’ tratta in arresto per tratta di esseri umani e gia’ condannata), risultava gestire alcuni joints (postazioni lavorative su strada) e alla quale venivano consegnati i canoni mensili per singola posizione occupati.

Il gruppo peraltro costituiva un punto di riferimento per altri connazionali i quali chiedevano consigli, contatti o supporto logistico e, talvolta, offrivano anche ausilio per la gestione di vittime (gli indagati Faith Ekairia, Joy Nosa, Rita Aiwuyo e altri 4 indagati non rintracciati sul territorio nazionale).

A Messina risultavano attivi James Arasomwan e Macom Benson, incaricati, tra l’altro, della riscossione del canone di locazione dei joints spettante alla proprietaria dei posti, mentre ulteriori basi operative risultavano dislocate a Novara, dove dimoravano Tessy William e Evelyn Oghogho, a Verona con Ekairia e Nosa, e Mondovi’, sede della madame Rita Aiwuyo.

Rilevate due prassi: la ‘esternalizzazione’ dei servizi correlati alla gestione delle vittime (mentre in passato le vittime raggiungevano subito il proprio trafficante che si occupava di ospitarle e della loro messa a reddito, l’indagine ha fatto emergere una sorta di ‘amministrazione conto terzi’ della vittima: il soggetto che aveva finanziato e organizzato il viaggio della vittima la inviava presso un altro soggetto cui delegava la ‘messa a reddito’, la raccolta dei guadagni e la consegna; le vittime erano costrette a inviare le somme direttamente al ‘voodoolista’ che in Nigeria le aveva sottoposte al ‘juju’ ovvero ai propri parenti affinche’ questi ultimi versassero le somme al voodoolista; il voodoolista al momento della ricezione delle somme avvisava la madame o i suoi parenti in Nigeria e questi ultimi si recavano dal voodoolista per incassare le somme nell’interesse della congiunta, somme che restavano in Nigeria.

Il volume di affari generato veniva gestito grazie al coinvolgimento di altri connazionali che si prestavano per trasferire, attraverso canali non ufficiali, la massima parte del denaro in Nigeria (dove veniva impiegato in investimenti immobiliari) o per trasferirlo ai connection men libici in pagamento di nuovi viaggi.