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Caltanissetta, una città dove non si uccide “senza permesso”

Fiorella Falci

Caltanissetta, una città dove non si uccide “senza permesso”

Dom, 14/06/2020 - 09:50

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Adnan: ucciso a coltellate per avere difeso i diritti dei suoi connazionali sfruttati dai caporali del lavoro nero. Un giovane pakistano cittadino nisseno, stimato a apprezzato da tutti gli abitanti del suo quartiere, dove è stato aggredito e ucciso, portato ad esempio di correttezza e generosità e ricordato con una grande manifestazione che ha chiesto per lui verità e giustizia.

Il Sindaco ha dichiarato che il Comune si costituirà parte civile al processo contro i suoi assassini, che sono stati arrestati, e per il Governo nazionale il ministro Giuseppe Provenzano si è impegnato a “rivedere la disciplina dell’immigrazione, che oggi genera insicurezza e ingiustizia, espone intere comunità alla vulnerabilità, al ricatto dei poteri criminali”.

I poteri criminali in Sicilia sono da sempre saldamente inseriti in tutti i sistemi di speculazione e di sfruttamento, controllando strettamente gli interessi economici e il potere che ne deriva. Qui, in questa periferia del capitalismo globale, organizzazioni criminali fanno arrivare lavoratori afgani o pakistani, come quelli difesi da Adnan, per alimentare il lavoro nero con gli invisibili, venuti da lontano e tenuti nella precarietà, privati della dignità di persone e di lavoratori, intimiditi e ricattati in una sottomissione che determina una moderna schiavitù, anche questa globale.

Nella nostra città, da sempre, non si uccide “senza permesso”, e i sistemi criminali di controllo del territorio sono verosimilmente interconnessi in una gerarchia di spartizione dei profitti illeciti in cui ognuno ha la sua parte e deve fare la sua parte.

Per tanto tempo non si sono analizzati questi nuovi meccanismi, non si sono individuati questi interessi e questi gruppi di potere, piccoli e grandi, egemoni e subalterni, intelligence e manovalanza criminale, siciliani e stranieri, nella loro mutante pervasività capace di soffocare l’economia pulita e imporre la legge della violenza su tutte le attività che possono produrre risorse utili. E che non sono “un’altra cosa” rispetto all’economia su cui vivono o non vivono le nostre comunità.

Quanti controlli sulle aziende, agricole e non, che si appoggiano al caporalato per reclutare e sfruttare i braccianti? Quante vertenze sindacali per difendere i diritti e la dignità di chi lavora? Quante indagini giudiziarie, finanziarie, sui flussi e i circuiti di economie poco trasparenti? Quali politiche per il lavoro e l’integrazione reale in un disegno di economia solidale, ecosostenibile, di cui questo nostro territorio potrebbe essere un campo di sperimentazione privilegiato?

La morte di Adnan reclama risposte a queste domande, oggi, qui, nel nostro territorio, prima di dimenticarlo e ricominciare a lamentarsi a vuoto, girandosi dall’altra parte per non avere problemi.

Alla manifestazione del 12 giugno c’erano centinaia di nisseni, insieme a centinaia di pakistani, di afgani, immigrati di tante etnie, che a Caltanissetta vivono e lavorano onestamente, quando possono, così come tanti nisseni.

Le bandiere di quei paesi lontani, insieme ai cartelli scritti in inglese e in italiano, gli interventi tradotti dai mediatori culturali, le donne islamiche velate accanto alle nostre ragazze in jeans, hanno mostrato il mondo di cui facciamo parte, con tutte le sue complessità, e che abita nelle nostre strade, frequenta le nostre scuole e lavora o non lavora quanto e come noi, e si è riconosciuto come un popolo unito, che pretende giustizia e verità, che vuole credere ancora, nonostante tutto, nella Costituzione del nostro Paese e nella democrazia fondata sul lavoro come garanzia di civiltà per tutti. Un popolo che ancora non si vuole piegare alla “globalizzazione dell’indifferenza”.

Il mondo è uno, e in questo mondo vengono “prima gli esseri umani”, tutti, con la loro dignità, i loro diritti che danno senso ai doveri, il loro desiderio di vita, di libertà vera, di pace, il loro sentirsi parte della famiglia umana senza privilegi e senza discriminazioni, ognuno portatore di un valore importante, ciascuno garantito dall’attenzione solidale degli altri. Perché “nessuno si salva da solo”.

Adnan era un cittadino esemplare, corretto, generoso, testimone di civiltà. Caltanissetta lo ha sentito come uno di noi, non come uno straniero di passaggio, e quindi la sua memoria può orientare la nostra volontà di sciogliere ad uno ad uno tutti i nodi che soffocano il nostro diritto ad un’economia pulita, che dia lavoro e dignità a tutti, tagliando gli artigli alla speculazione, allo sfruttamento, alla criminalità, strappando risorse e potere alle mafie vecchie e nuove.

Non basterà avere preso i killer, processarli, condannarli se andrà bene, senza avere svelato gli intrecci degli interessi che hanno avuto bisogno di questo sangue per imporre la loro legge criminale. Sono gli stessi interessi e poteri che tengono in pugno il presente e il futuro dei nostri figli e che vanno smascherati e disinnescati, subito, se vogliamo respirare la libertà e mantenere aperta la strada di uno sviluppo possibile. Che si può costruire, se davvero lo vogliamo.