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Caltanissetta, processo a Messina Denaro. Pm: “Centrale eredità padre-figlio”

Redazione

Caltanissetta, processo a Messina Denaro. Pm: “Centrale eredità padre-figlio”

Ven, 19/06/2020 - 13:24

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“La successione tra i Messina Denaro, padre e figlio, e’ uno snodo centrale del periodo che ha preceduto le Stragi”. Lo ha detto il procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, nella requisitoria in corso davanti ai giudici della corte d’Assise nissena, in cui il latitante Matteo Messina Denaro e’ accusato di essere il mandante delle bombe del 1992. Il magistrato ha ricostruito i rapporti tra la mafia trapanese e i corleonesi fedeli a Toto’ Riina, soffermandosi sui rapporti di forza del mandamento di Castelvetrano.

“Padre e figlio nel 1989 organizzarono l’uccisione il 15 aprile 1989 di quattro alcamesi (Damiano Costantino, Giuseppe Colletti, Vito Varvaro e Filippo Melodia): il primo come mandante e il secondo come esecutore. Omicidi che servivano a ristabilire gli equilibri ad Alcamo. Ma due obiettivi dovevano essere gli Sciacca – ha continuato Paci – accusati di aver segnalato alle forze dell’ordine la presenza della raffineria di eroina trovata ad Alcamo in contrada Virgini, dietro alla quale c’erano gli interessi di Riina. Questo e’ l’unico omicidio, di quelli conosciuti, a cui parteciparono padre e figlio e sembra una sorta di formale passaggio di testimone, da questo momento in poi la figura di Francesco Messina Denaro, scomparira’, non avremo piu alcuna notizia”.

Il magistrato ha aperto uno squarcio sulle testimonianze dei collaboratori di giustizia degli anni Novanta, poi completate dal patrimonio conoscitivo dei boss sopravvissuti alle “tragedie” di Riina e divenuti pentiti. “Solo sul finire del novanta iniziano a coagularsi elementi nei confronti di Francesco Messina Denaro che era un soggetto pressocche’ sconosciuto, almeno dal punto di vista giudiziario. Le prime collaborazioni non sono di uomini d’onore – ha detto – ma di personaggi secondari che avevano avuto contatti per varie ragioni con i mafiosi del territorio”. Per questo – da molte sentenze passate in giudicato – emerge un ruolo di capo della mafia trapanese di Mariano Agate, che invece comandava “soltanto” il mandamento di Mazara del Vallo.

“So che si rispettavano e don Ciccio per Riina faceva di tutto e di piu”, racconto’ Brusca quando fu ascoltato nel dicembre 2017 in questo processo, e specifico’ come l’amicizia tra i due fosse “piu forte di quella che aveva con Mariano Agate”. “A un certo punto – ha aggiunto Paci durante la requisitoria – don Ciccio scompare dal radar di Cosa Nostra, restringendo il raggio di azione e questo e’ un passaggio molto importante per questo processo”.