Convivere con il coronavirus sarà più complicato che lottare contro il coronavirus. Se nella Fase 1 la questione sanitaria assorbiva ogni sforzo, nella Fase 2 alla drammatica emergenza sanitaria si affianca una altrettanto drammatica emergenza economica, finanziaria e sociale. Non vi è più un solo obiettivo da raggiungere, ma ve ne sono tanti, potenzialmente in conflitto tra loro (salute, libertà di circolazione, libertà d’impresa, libertà di culto, occupazione, ordine pubblico). Questi diversi obiettivi vanno bilanciati in maniera ragionevole e proporzionale, in modo che nessuno di essi risulti indebitamente sacrificato.
Più facile a dirsi che a farsi. Molte le tensioni tra Parlamento e Governo, tra Stato e autonomie territoriali, tra Regioni e Comuni, tra amministrazioni e cittadini. Ultimo in ordine di tempo il conflitto generato dall’ordinanza della presidente della Regione Calabria, che ha deciso di anticipare i termini di riapertura una serie di attività (bar, pizzerie, ristoranti), suscitando la reazione avversa del Governo centrale, ma anche di alcuni sindaci calabresi.
L’incertezza regna sovrana non solo tra i comuni cittadini, ma anche tra gli addetti ai lavori. Si pensi allo scompiglio generato dall’ordinanza del presidente della Regione Lombardia che aveva stabilito la chiusura degli studi professionali. Gli avvocati si sono divisi tra coloro che ritenevano che dovesse essere rispettata l’ordinanza regionale e coloro che sostenevano la prevalenza del decreto del Presidente del Consiglio, che invece aveva escluso gli studi professionali dalle chiusure imposte.
Come districarsi in questa babele di decreti del Presidente del Consiglio, decreti ministeriali, ordinanze prefettizie, ordinanze regionali, ordinanze comunali? Quale atto prevale rispetto agli altri? Le Regioni possono autonomamente derogare a quanto stabilito a livello statale? Possono introdurre misure più restrittive per assicurare un più elevato livello di protezione della salute? Possono introdurre misure meno restrittive per tutelare altri interessi, per esempio economici?
Varie leggi (il Codice della protezione civile, il Testo Unico degli Enti locali, la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale) attribuiscono un potere di emanare ordinanze al Presidente del Consiglio, al ministro della Salute, al Capo della protezione civile, ai presidenti delle Regioni, ai sindaci. La disciplina introdotta per la gestione della pandemia da Covid-19 ha stabilito una gerarchia all’interno di queste varie ordinanze. Anche se il decreto legge n. 19/2020 non è scritto in maniera particolarmente chiara, da esso si ricava che le ordinanze locali possono essere emanate solo in attesa che siano adottate le ordinanze statali. Di conseguenza i decreti del Presidente del Consiglio, una volta emanati, prevalgono rispetto a qualsiasi altra ordinanza.
1 maggio 2020
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Tuttavia, da un lato, da una lettura dei Dpcm non sempre si comprende facilmente cosa sia vietato e cosa sia permesso, tant’è che il Presidente della Repubblica nel suo discorso del 1° maggio ha ribadito la necessità che il Governo fornisca indicazioni limpide, oltre che ragionevoli. Dall’altro lato, alcune Regioni e Comuni hanno forzato il dettato normativo e, invocando specifiche ragioni territoriali, hanno emanato ordinanze anche subito dopo l’intervento del Presidente del Consiglio, introducendo norme più severe rispetto a quelle nazionali (nella Fase 1) e norme più permissive (nel faticoso avvio della Fase 2).
Questo procedere di Regioni e Comuni ha prodotto incertezze tra i cittadini, ha generato un contenzioso davanti al giudice amministrativo e ha anche resuscitato un istituto dato per abbandonato, e cioè l’annullamento straordinario governativo a tutela dell’unità nazionale (applicabile comunque solo nei confronti dei Comuni e non delle Regioni). Così il Governo ha annullato l’ordinanza del Sindaco di Messina che aveva introdotto senza alcuna base di legge un potere di autorizzazione all’ingresso sul proprio territorio.
Sicuramente va evitata una irrazionale frammentazione locale di divieti e permessi. Al tempo stesso, però, occorre introdurre all’interno di una cornice di regole generali valide per tutti alcune forme di differenziazione per i territori a basso contagio e su questa scia si colloca l’ordinanza del ministro della Salute che prevede una ripartenza delle attività economiche diversificata tra Regioni, a seconda degli indici di contagio e di altri indicatori. Ma soprattutto bisogna assicurare sempre un coinvolgimento degli enti territoriali nelle scelte generali di sistema all’insegna del principio costituzionale della leale collaborazione. Gli eccessi – di centralismo, di regionalismo – sono sempre pericolosi. Il delicato processo di ritorno a una pseudo-normalità reclama maggiore cooperazione e concertazione tra istituzioni pubbliche. È questo un esercizio di democrazia matura.
* Professore ordinario di Diritto amministrativo, Università degli Studi di Milano