Al chiuso delle nostre stanze, dai primi giorni di marzo siamo portati a un continuo confronto con noi stessi: con quello che eravamo, con quello che abbiamo perduto, con quello che ci sembrava scontato e ora ci manca.
Eravamo felici e non lo capivamo.
Eravamo egoisticamente felici, perché la nostra ricerca del benessere ci aveva portato a creare una frattura potente tra noi e la Natura.
Non ci eravamo curati di quello che stava accadendo al mondo. Le immagini dei disastri ambientali, le tartarughe con la plastica nello stomaco, la ragazzina Greta che lottava contro il cambiamento climatico, i cittadini cinesi con le mascherine e la loro quarantena, tutto ci sembrava lontano, in una dimensione Altra.
Ci sembrava che tutto questo fosse un problema che non ci riguardava. Tutt’al più un argomento di una discussione tra amici.
E invece così non è stato. La campana ha suonato per tutti noi, nessuno escluso.
La sera del 9 marzo davanti alle televisioni abbiamo ascoltato in silenzio Giuseppe Conte. Ci siamo ritirati increduli nelle nostre case. Ogni giorno abbiamo ascoltato il consuntivo del numero delle persone che ci hanno lasciato. Abbiamo ascoltato le parole di chi ha perduto il lavoro, di chi si è ritrovato a casa senza uno stipendio.
E tutti siamo stati costretti a guardarci dentro. A riflettere sulla piccolezza dell’uomo di fronte a un virus. Questo ci ha ricordato il coronavirus: ricordati che sei un uomo. Un essere limitato, finito.
Ricordati che non sei il padrone dell’Universo.
Ricordati che sei un ospite della Natura, e devi rispettarla.
Ma proprio da queste considerazioni dobbiamo ripartire: dobbiamo, con umiltà e consapevolezza, riprendere il nostro posto nel mondo. Noi uomini e donne siamo esseri straordinari. E amiamo tanto vivere.
Dobbiamo ricominciare, ma consapevoli del fatto che non sarà come prima. Dobbiamo ricominciare per consentire a chi ha perduto il lavoro, il reddito, di provvedere con dignità a se stesso e alla propria famiglia. Questa è una priorità.
Mapossiamo ricominciare anche dalla cultura. Altra forma di nutrimento. Per gradi, ripensandone completamente le modalità.
Per lungo tempo non saranno possibili assembramenti di persone, è inutile negarlo. Chissà quando potremo andare a teatro, a cinema. Ma non dobbiamo perderci d’animo. L’uomo è forte, conosce strategie, può.
La cultura annulla le distanze e ci fa sentire uniti. Andiamo a fare la visita virtuale dell’Hermitage a San Pietroburgo, ascoltiamo dalla nostra poltrona le parole di uno scrittore che ci racconta del suo romanzo, voliamo con un drone sopra New York.
Pensiamo però ad una cultura che sia motore non solo di sentimenti, ma anche motore di una spinta economico-sociale per il nostro territorio.
Caltanissetta da tempo ha condiviso lo stesso destino di molte altre piccole e medie città italiane: essere un’area di consumo di modelli e prodotti importati dai grandi centri di produzione culturale.
“La cultura non è qualcosa di cui pochi sono dotati e che concedono benevolmente e periodicamente a chi meno sa e meno tempo ha per studiare o scrivere, ma è un processo che si costruisce tutti i giorni insieme, per superare lo scetticismo e il senso d’inferiorità secolari che hanno rallentato lo sviluppo del Sud Italia. Riappropriamoci di alcune parole chiave come passione, cura, frugalità, ruralità, riuso, silenzio e lentezza.” – dal dossier di Matera Città della Cultura 2019.
Ripartiamo dal cambiamento: è necessario prendere le distanze dalla logica aberrante del consumismo. Riappropriamoci dei nostri beni, delle nostre bellezze. Del nostro paesaggio. Del nostro cielo, della nostra aria. Del valore del tempo, della lentezza, della riflessione. Pensiamo ad una città in cui la produzione culturale metta al centro proprio questi valori, che possono diventare il fulcro di un nuovo modo di intendere la vita stessa e anche la cultura, di conseguenza.
Siamo stati nel 2019 l’ultima città in Italia nella classifica de Il Sole 24 ore.
Ma oggi abbiamo una opportunità, ricominciare.
Stiamo lavorando a un progetto di cultura in rete che vuole essere uno spazio comune, in cui tutti insieme siamo più forti di quanto non saremmo in una dimensione individuale.
Vogliamo ripartire proprio dai nostri valori, dal paesaggio, dalla cucina, dalle attività produttive della nostra città, per proporre uno stile di vita che forse non merita più di stare all’ultimo posto in Italia.
Grazie all’innovazione digitale possiamo far conoscere il nostro patrimonio culturale, le nostre tradizioni; abbiamo condiviso i video della Settimana Santa nelle pagine dei social e siamo entrati nelle case di chi forse non aveva mai visto le nostre processioni.
Abbiamo l’opportunità di ridurre le distanze sia con chi è lontano geograficamente sia con chi è lontano per generazione. Possiamo coinvolgere e rendere protagonisti i giovani in un processo di cambiamento che parta proprio dalla cultura, perché solo dalla conoscenza e dalla consapevolezza del nostro passato possiamo progettare quello che sarà. Che non può essere uguale a quello che è stato. Perché è la cultura che rende i cittadini più forti, più consapevoli, più attivi.
Marcella Natale