Salute

L’identikit degli italiani in quarantena

Paolo Giorgi

L’identikit degli italiani in quarantena

Gio, 16/04/2020 - 16:24

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Paura della crisi, rabbia e bulimia di cibo e Web. Uno studio del Cnr fa luce sui mutamenti sociali in atto durante l’emergenza. E il quadro preoccupa

Il terrore (spesso fondato) di perdere il lavoro, l’ansia, la rabbia, la bulimia di cibo e alcol (ma anche di socialità via web), le tensioni domestiche acuite dalla convivenza continua e forzata. È la fotografia degli italiani in quarantena scattata dall’​osservatorio ‘Mutamenti Sociali in Atto-COVID19’ (MSA-COVID19), un progetto dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpps) realizzato in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e la Fondazione Movimento Bambino ONLUS.

​I primi risultati dello studio forniscono informazioni circa la condizione abitativa, relazionale e lavorativa, analizzando nello specifico le attività quotidiane, l’uso di internet e l’iperconnessione, la violenza domestica, la fiducia sistemica e gli stati psicologici.

Il 73,1% del campione ha in questo momento un partner, con cui convive per il 56,7%, a fronte del 13% di persone che abitano sole. Circa la metà degli intervistati vive con almeno 2 o 3 persone. Il 49,3% è impiegato a tempo pieno e per il 24,9% dei soggetti l’attività lavorativa è sospesa. Tra i rimanenti lavoratori, il 23,4% opera in smart working e il 10,8% si reca sul posto di lavoro.

Circa 4 persone su 10, si legge nell’indagine, prevedono di andare incontro a gravi perdite economiche, più di una su 10 di perdere il lavoro o la propria attività, e due su 10 di andare in cassa integrazione. Il titolo di studio risulta un importante salvagente della tenuta lavorativa. Il rischio di non riuscire a far fronte anche alle esigenze alimentari nei prossimi giorni è concreto per circa 3 persone su 10, soprattutto nel centro e sud Italia.

Si evidenzia un’elevata quota di incertezza per il futuro, che riguarda in particolare le donne (il 44,9% contro il 31,1% degli uomini) e chi possiede un titolo di studio medio-basso. Si evidenziano condizioni di disagio connesse all’assenza dell’interazione sociale, l’aumento di stati depressivi, disturbi di tipo alimentare e legati all’abuso del digitale e dell’alcool.

Sui minori di 12 anni, il distanziamento sta producendo un disagio dovuto al distacco da amici e nonni (rispettivamente 64,5% e 47,5%) e un rilevante abuso di internet a scopo di gioco e comunicazione (rispettivamente 33,5% e 19,2%). ​

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© AfpCoronavirus

Tra le principali attività svolte in questi giorni spicca la lettura di libri. Le scelte appaiono però spesso prodotte dai condizionamenti sociali e da una visione stereotipata dei ruoli. Queste persone ritengono che in questo periodo sia giusto offrire agli uomini maggiori valvole di sfogo, ad esempio permettendo loro di uscire per la spesa o altre esigenze, ma soprattutto che questo momento offra alla donna la possibilità di “riacquistare il suo ruolo naturale di madre e moglie” (sono d’accordo il 27% delle donne e il 37% degli uomini).

La presenza di stereotipi, che coinvolge il 16,1% degli intervistati, è maggiore tra gli uomini (circa il 20% vs il 10% delle donne), i non laureati, i credenti, nel Mezzogiorno, tra chi ha un orientamento politico di centro-destra e cresce con l’età.

Quanto al web, moltissimi prestano attenzione a ciò che leggono (80%), alle conseguenze di ciò che scrivono (94%) e controllano immagini e testi prima di condividerli (88%). Pochissimi si dichiarano favorevoli ad azioni di odio sul web (3%), ma per il 30% è più facile esprimere sincerità in rete che dal vivo.

La “teoria del complotto” fa però da contraltare. Circa 4 soggetti su 10 ritengono che il web offra ciò che i notiziari nascondono deliberatamente, lo pensano prevalentemente i maschi (45% contro il 37% delle donne) e le persone con titolo di studio medio-basso (42% contro 32%). Rispetto all’uso dei social media si assiste per almeno 4 soggetti su 10 a un raddoppio del tempo di utilizzo (fino a 60 minuti, 21,5%; da 1 a 3 ore, 42,1%; oltre 3 ore, 33,7%).

Tutti, indipendentemente dall’età, trascorrono in questo momento più tempo sui social: leggermente di più le donne, chi vive nel Mezzogiorno e chi non ha figli. A tale aumento di tempo si evidenzia un incremento di emozioni e stati negativi quali rabbia, disgusto, paura, ansia e tristezza. Parallelamente, si evidenzia una diminuzione di felicità e rilassamento.

L’immersione di massa nel digitale, l’implicita legittimazione della trasposizione del reale sul virtuale, soprattutto in ambito didattico e ludico per i più giovani, sta generando un’iperconnessione che potrà divenire un fattore patologico (è stato rilevato tra i minori di 12 anni un abuso di internet per gioco e comunicazione, pari al 33,5% e al 19,2%).

Circa la metà delle persone, il 44,5%, ritiene che la comunicazione virtuale (social, chat ecc.) possa sostituire quella personale (faccia a faccia). ​Il 57% dei soggetti convive in questo periodo con un partner o ex partner: il 15% dichiara che è possibile che si verifichi un atto di violenza psicologica commessa dagli uomini sulle donne e il 9% delle donne sugli uomini.

Il rischio di violenza fisica degli uomini sulle donne è percepito dal 13% e quella delle donne sugli uomini dal 3%. Il 5% di chi vive in coppia dichiara che il clima è poco collaborativo, pacifico e affettuoso. I genitori dichiarano inoltre che i ragazzi assistono alle loro liti nel 5% circa dei casi. Infine, il 6% di chi vive con un partner dichiara una seria preoccupazione per la stabilità di coppia a causa della convivenza forzata.

Rispetto invece alla fiducia degli italiani, raccolgono il più elevato consenso gli scienziati, la protezione civile, le forze dell’ordine e la sanità. I più bassi livelli vengono invece attribuiti a politici, banche, informazioni diffuse sui social e Unione Europea (l’unica ad aver registrato un calo). Discorso a parte per le singole figure istituzionali: il presidente della Repubblica, del Consiglio e il Papa, godono di un’elevata quota di fiducia.

Quanto alla capacità di fronteggiare, resistere e reagire positivamente a un evento stressante o traumatico, i dati evidenziano una capacità maggiormente focalizzata sulle emozioni positive (più gli uomini) e un po’ meno orientata al compito (più le donne). La resilienza cresce con il livello di istruzione e l’età, la fascia 50-69enne è la più orientata al problema. Rispetto all’indicatore emozioni positive, il Nord ottiene il punteggio più alto e il Mezzogiorno il più basso.

Infine, tra le emozioni primarie, le maggiormente percepite in conseguenza del distanziamento sociale sono tristezza, paura, ansia e rabbia. La felicità ottiene il punteggio più basso. Le donne provano le stesse emozioni degli uomini, ma con maggiore intensità. Le emozioni mostrano un andamento inversamente proporzionale all’età: gli over 70 hanno un’intensità emotiva più bassa rispetto ai giovani fino a 29 anni. La fascia 30-49 anni prova paura con maggiore intensità.

Emozioni più accentuate risultano nel Mezzogiorno, dato apparentemente in contrasto con la minore diffusione del contagio, e potrebbe avere origine nei tratti culturali dell’interazione sociale che a sud si esprime di più nel senso della comunità e nelle reti di vicinato interrotte dal distanziamento sociale. In merito a tristezza, paura e rabbia, i valori maggiori si riscontrano in Calabria, Basilicata, Campania, Molise, Puglia e Sicilia.