Salute

La settimana santa a Mussomeli (di don Salvatore Callari)

Don Salvatore Callari

La settimana santa a Mussomeli (di don Salvatore Callari)

Mar, 07/04/2020 - 09:53

Condividi su:

Cenni sulla celebrazione del triduo pasquale, cioè i tre giorni Giovedì, Venerdì e Domenica di Resurrezione

La settimana santa è una settimana speciale; anche il nome la distingue da tutte le altre, perché in essa si fa la commemorazione dei più augusti misteri della salvezza vissuti da Gesù e che il popolo cristiano ha sempre voluto ricordare e festeggiare in modo singolare.

La settimana si apre con la Domenica delle palme che ricorda il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme accompagnato da grande folla e di bimbi osannanti che gridavano Osanna al Figlio di Davide.

In tutta la chiesa universale si celebra la settimana santa ma non come facciamo noi in Sicilia, in particolare, e anche nel sud Italia. con manifestazioni solenni e devote che fanno rivivere ai cristiani la passione di Gesù a incominciare dalla istituzione della eucaristia, chiamata L’ultima Cena, il giovedì, poi la passione dolorosa, dalla cattura alla flagellazione, alla Via Crucis e infine la crocifissione. Il venerdì. La celebrazione della settimana santa riveste ovunque un fascino particolare nel ricordo dei giorni più ricchi di mistero. I cristiani sono presi da sentimenti di sincero misticismo. Si esaltano e si commuovono, si inebriano e si appassionano nella più intensa partecipazione alla festa e nel fervore delle tradizioni popolari, con fascino genuino ed ammaliante. In molti paesi della Sicilia, con modalità diverse si fa festa la settimana santa dove in modo più modesto e dove più solenne. Ripercorriamo con brevi accenni i singoli momenti della festa secondo quello che avviene a Mussomeli.

La domenica delle palme nelle parrocchie si fa la processione con rami di palme e di ulivo che snoda a partire da un luogo alquanto distante dalla parrocchia per avere un percorso piuttosto consistente di processione.

Alcuni partono da un’altra chiesa vicina, altre da un luogo che consente un raduno per la folla. Quando si arriva in chiesa si celebra la messa come di consueto. La messa ha uno svolgimento in due tempi: uno festoso nel ricordo appunto dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme e l’altro più austero perché si entra nell’atmosfera della passione di Gesù che viene narrata ampiamente dal Vangelo.

Il giovedì è caratterizzato da diversi elementi di antica tradizione: si portano in processione: La statua di Gesù alla colonna che si trova nella chiesa madre, la statua di S. Giovanni Evangelista che esce dalla parrocchia del Carmelo, la statua di Gesù nell’orto che parte dal santuario Maria SS; dei Miracoli, e la statua di Gesù raffigurato nella prima caduta.

La statua di Gesù alla colonna ricorda il triste momento della flagellazione. il Sinedrio aveva decretato la sua condanna e Gesù fu consegnato nelle mani dei giudei che hanno flagellato crudelmente Gesù. Il governatore Pilato aveva tentato di liberare Gesù perché non trovava valide le accuse addotte contro di Lui ritenendole beghe religiose, Il popolo invece gridava sempre più forte crocifiggilo. segue poi la sua esposizione alla folla di Gesù sanguinante e coronato di spine quando Pilato pronuncia la triste espressione Ecce Homo. E’ da notare la ipocrita e ignobile mentalità dei farisei che per rispetto della legge davano 39 colpi di flagello e non 40 perché vietato, Come se 39 colpi non facessero un gran male evitando il quarantesimo.

S. Giovanni che esce dalla chiesa del Carmelo è l’Evangelista, Una statua ieratica composta e solenne che porta in mano la pergamena a volere ricordare che egli ha scritto il quarto vangelo.

Dal Santuario esce la statua di Gesù nell’orto. E’ il drammatico momento dell’agonia vissuta nella percezione dolorosa di quello che stava per accadere e fortemente turbato sudò sangue. Nello struggente momento dell’agonia, quando Gesù ha pronunciato la frase Padre non la mia ma la tua volontà sia fatta, la pietà ha reso più concreta e sensibile la sofferenza di Gesù che accetta di bere il calice amaro come il calice che contiene un misterioso concentrato del martirio che Egli stava per affrontare. Come è chiaro si tratta di un immaginario simbolo del dolore, donde la proverbiale espressione calice dell’amarezza.

La prima caduta raffigurata nella statua esce dalla chiesa di S. Enrico. Dopo la flagellazione disumana che aveva subito, Gesù certo non era in forze e certamente doveva stentare anche solamente a camminare, figurarsi se costretto a portare la croce. Ma il Vangelo non parla di cadute che la pietà dei cristiani ha immaginato e portandole al numero di tre. Gesù. esausto, non reggendo alla fatica dal peso della croce. è del tutto verisimile che sia caduto, anche più volte, procurandosi nell’urto contusioni e atroci dolori. Comunque non si tratta di un dato storico ma assolutamente verisimile e la chiamata del Cireneo a soccorrere Gesù ci conferma che tutto questo poteva accadere veramente. Nel primo pomeriggio c’è la celebrazione In Coena Domini, cioè nel ricordo dell’Ultima Cena di Gesù e della Istituzione della Eucaristia. I fedeli sentono il dovere di partecipare alla messa e le chiese sono sempre pressoché affollate dal popolo devoto.

L’aspetto più spettacolare e decisamente più sentito dai fedeli è quello della processione che le suddette statue fanno per le vie chiamate dei Santi, nel tardo pomeriggio. C’è la partecipazione delle varie confraternite delle rispettive parrocchie. Le luminarie che ornano le statue, labari e gagliardetti e altissimi stendardi e bandiere e il suono delle bande rende la circostanza assai suggestiva. C’è un momento che possiamo chiamare culminante che è quello del raduno di tutte le statue nello spiazzale di S. Maria e la visione diventa accattivante con i colori delle confraternite, e il particolare suono della tromba che emette quasi un grido straziante di dolore. E’ una nota caratteristica tradizionale, forse unica. Essa interviene a intermittenza durante la processione con un suono acuto e altissimo e prolungato che fa restare con il fiato sospeso, fino a quanto il trombettista, dotato di buona perizia, quasi strozzato dallo sforzo, interrompe improvvisamente il suono con una cadenza melanconica che sembra un singhiozzo, che lascia immobili e riflessivi, come presi da uno strano stordimento che si scioglie lentamente al rombo di un grosso tamburo, con tre colpi, con vibrazioni basse e penetranti, quasi in contrapposizione con gli acuti della tromba

Una suggestione eccezionale che aiuta a sentirsi immersi in una atmosfera di mestizia e dentro l’ampio grembo della celebrazione della passione di Cristo.

Un devoto silenzio avvolge la folla. Il suono delle marce funebri, particolar mente toccante accompagna le statue seguite dai fedeli. e rientrano nelle loro chiese

Il Venerdì

Il venerdì è il gran giorno della passione. L’aria paesana rivela questo senso di memoria viva della morte di Cristo con grande compostezza. E c’è un particolare evento che la tradizione non ha mai smesso di vivificare con grande partecipazione e devozione. L’Addolorata viene portata in processione per le vie del paese seguendo un inconsueto itinerario, quasi a portare in un contatto personalizzato, ad ognuno, la sua presenza dolorosa e pur fonte di spirituale conforto. Il mesto pellegrinaggio, con note dolenti, sviluppando un tessuto di fede, per le vie del paese esprime e conferma l’omaggio più sentito, con spirito assorto alla Vergine Madre Addolorata. La statua viene portata in tutte le chiese dove è stato allestito il cosiddetto sepolcro, espressione impropria, perché nel luogo riccamente adornato con fervida fantasia e in particolar modo con la presenza del frumento nei suoi primi germogli, dal verde denso e che con altri oggetti, compone il sepolcro dove è custodito, invece il SS: Sacramento, l’Eucaristia; quindi non è esatto chiamarlo sepolcro. La Madonna va in tutte le chiese come per cercare il figlio considerando che dopo l’ultima cena è stato catturato e <Maria non sa dove si trova. La Madonna, così come ci è offerta nella figurazione dell’arte rimane il segno più eloquente del più tragico momento della sua vita e di quella di Gesù. E’ come impietrita dal dolore e non ha parole che possano tradurre la sua angoscia. Potrebbe esprimersi con le parole della Scrittura che dice: “vedete se c’è un dolore simile al mio. Grande come il mare è la mia afflizione”. Nel silenzio ricorda le lacrime di tutte le madri che hanno visto i loro figli travolti dall’uragano delle guerre, dall’odio indiscriminato,

dalla violenza bruta e da ogni ingiusta condanna: di ogni madre che ha visto profanato il suo amore divenuto figlio. Voce come eco di tutti i dolori fatti, in lei, concreta immagine, l’emblema più amaramente fulgido del dolore di tutta l’umanità.

Al pomeriggio si porta in processione dimessa, uscendo dalla madrice con la partecipazione della confraternita, Gesù morto che viene collocato sulla croce dove rimane fino all’ora in cui sarà rilevato dalla croce, dai sacerdoti, è il momento della “discesa dalla croce”, altrove detta “scinnenza”, e dopo una

breve omelia si darà inizio alla processione con Gesù morto nell’urna. E’ cosa lodevole rilevare che durante le ore di attesa le varie confraternite si alternano nel fare guardia d’onore a Gesù. La processione si volge con le statue della Madonna Addolorata, proveniente dalla chiesa di S. Giovanni, della Veronica che viene dalla Chiesa di S. Enrico. Incontrando, ora, per la prima volta la Veronica ci consentiamo una piccola nota storica. Il fatto della donna che asciuga il volto a Gesù, cui si è dato il nome di Veronica, non si trova nel vangelo, non si può considerare dunque strettamente storico ma pare del tutto verisimile. Appare possibile che una donna intensamente partecipe della sofferenza di Cristo, vincendo magari l’opposizione delle guardie, si sia avvicinata a lui per asciugargli il volto imbrattato di sangue, di sudore e di polvere. La tradizione che lo ha sempre accettato; forse lo ha considerato il simbolo del desiderio di ogni buon cristiano, ricco di compassione, che avrebbe voluto certamente, durante la Via Crucis, accostarsi a Gesù per compiere questo pietoso gesto.

C’è poi la statua della Maddalena, che ha vissuto l’estasi amorosa e dolorosa ai piedi della croce e che ha ricevuto dal Cristo per prima l’annunzio della sua resurrezione, e che ora è presente per rinnovare la sua intensa partecipazione alla passione di Cristo. E’ presente anche la statua di S. Giovanni, l’apostolo prediletto da Gesù che in fraterna confidenza si è concesso il privilegio di poggiare, durante la cena, il suo capo sulla spalla di Gesù.

Infine l’urna col Cristo morto. E’ un lavoro di gran pregio, di finissima arte. In legno ricoperto di oro zecchino, dalle linee eleganti, dalla esecuzione raffinatissima; un manufatto di singolare bellezza, un vero prodigio di scultura. Particolare attenzione merita anche, l’angelo che si libra con amabilissima leggiadria sull’urna, con una grazia e uno slancio che lo rendono un elemento di ammirato stupore. Porta in mano un nastro con la scritta del profeta: Et erit sepulcrum eius gloriosum, il suo sepolcro sarà glorioso, rimandando così al sepolcro vuoto di Gerusalemme, segno incontestabile della resurrezione, della gloria, della vittoria di Cristo sulla morte.

Sfila in processione, col corpo di Cristo morto nella pietosa postura rigida di un corpo senza vita. Grandissima la suggestione che incatena la devozione e gli occhi, tra la magia accattivante delle luci, nel vedere il Redentore che dorme il sonno della morte nell’attesa della sua resurrezione.

Degna di menzione è anche il canto delle lamintanze, dei lamenti, che si ode durante tutta la quaresima e anche in occasione della processione. La modulazione vocalittica, come una meditazione sviluppata in un crescendo di suoni, dalle variazioni semplici ma efficacissime incatena l’animo dell’ascoltatore che attratto dal fascino della cantilena rimane come preso tra le maglie di un devoto sortilegio. Il canto è un dialogo a due voci: un solista e il coro. Il cantore solista scivolando sulle sillabe di un discorso melodicamente frammentario, declama, i versi della laude o lamintanza, che risulta incomprensibile, non solo perché in latino ma anche perché nella esecuzione non c’è la dovuta chiarezza: ma si tratta di versi del vangelo assolutamente corretti e storici, ma solo sulla carta, sulla bocca… è un’altra cosa. La voce del solista proclama il testo della laude e quando il fiato sembra esaurirsi e lancia l’ultima nota, questa è afferrata a volo con lodevole destrezza dal coro che l’assorbe in una sonorità più ampia e riposante e consente agli ascoltatori di riprendere il respiro che sembrava bloccato e gode della chiusa che morbidamente devota si adagia in una cadenza conclusiva con un accordo armonico prolungato.

La processione che rinnova nel cuore dei fedeli devote suggestioni, e ineffabile sensazione, creando come una stregata memoria di fede, travalicando le barriere del tempo, si sono sentiti partecipi, quasi contemporanei delle emozioni fresche e varie del dramma di Cristo che assume sempre la forza avvincente di una attualità che sembra evolversi con mistica esistenzialità sotto ai loro occhi, si chiude nella chiesa madre.

La domenica

Si chiudono le celebrazioni della settimana con una singolare scena. Convengono in piazza grande le statue di S. Michele, della Madonna, regina della pace, e di Gesù risorto, che dagli angoli della piazza dove sono ferme ad un segnalo convenuto convergono, al centro quasi correndo per un incontro e un “ipotetico” abbraccio ed esprimono così la gioia della resurrezione.

Il grazioso evento viene chiamato “la giunta”.