Per i ristoranti, i bar e le pizzerie, riaprire dal 1° di giugno significa mettere in conto altri 9 miliardi di euro di perdite. «La misura è colma», dichiara senza mezzi termini la Fipe, commentando le novità sulla Fase 2 indicate nel nuovo Dpcm.
La federazione degli esercizi pubblici lamenta anche la totale assenza di regole chiare: «Sappiamo solo quanto dovremo stare ancora chiusi, nulla si sa quando le misure di sostegno verranno messe in atto – si legge in un comunicato -. Tutto questo a dispetto sia del buon senso che della classificazione di rischio appena effettuata dall’Inail che indica i pubblici esercizi come attività a basso rischio. Questo nonostante la categoria abbia messo a punto protocolli specifici per riaprire in sicurezza».
Con un altro mese di lockdown, dice la Fipe, ci sono altri 9 miliardi di euro , che portano le perdite stimate per il settore, dall’inizio della crisi, a 34 miliardi. Le stime dei ristoratori sono catastrofiche: a rischio di chiusra ci sono oltre 50mila imprese e 350mila persone perderanno il loro posto di lavoro. «I nostri dipendenti – sostiene la Fipe – stanno ancora aspettando la cassa integrazione e il decreto liquidità stenta a decollare. Servono risorse e servono subito a fondo perduto, senza ulteriori lungaggini o tentennamenti».
Prolungare la chiusura dei ristoranti mette in pericolo anche il 30% del fatturato del settore agroalimentare. A sostenerlo è la Fondazione Filiera Italia: «Vino , formaggi e salumi sono legati a doppio filo al canale della ristorazione», sostiene il suo consigliere delegato, Luigi Scordamaglia. Secondo le stime della Coldiretti, la chiusura forzata di bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi dall’inizio del lockdown fino al 1° di giugno costerà all’agroalimentare italiano fino a 5 miliardi di euro.
Da quando è cominciata la pandemia in Italia, sottolinea la Coldiretti, il 57% delle aziende agricole ha registrato una diminuzione dell’attività.
La spesa degli italiani per pranzi, cene, aperitivi e colazioni fuori casa prima dell’emergenza coronavirus era pari al 35% del totale dei consumi alimentari degli italiani, per un valore di 85 miliardi di euro all’anno. Un italiano su tre (37%) abitualmente consuma a casa o al lavoro i menu da asporto o per consegna a domicili, preparati da ristoranti, pizzerie e fast food.