Sondate da Confindustria 4.420 aziende: il 36,5% ha dovuto chiudere la propria attività. Sono in smart working il 26,4% dei dipendenti mentre il 43% risulta inattivo.
l 97,2% delle imprese italiane ha subito un impatto negativo dall’epidemia di coronavirus, il 43,7% in misura “molto grave”.
Il dato emerge da una seconda indagine sugli effetti della pandemia da Covid-19 per le aziende condotta da Confindustria, cui hanno partecipato 4.420 imprese. In particolare, il 36,5% dei rispondenti, in seguito all’emanazione dei Dpcm del 22 e del 25 marzo, ha dovuto chiudere la propria attività, mentre il 33,8% l’ha chiusa parzialmente. Il 26,4% dei dipendenti totali delle aziende intervistate svolge attualmente la propria attività in smart working, mentre il 43% risulta essere inattivo. Il 53,1% dei dipendenti delle aziende intervistate potrebbe dover ricorrere ad ammortizzatori sociali.
In media, rispetto alla normalità (marzo 2019), si è assistito a un calo del 32,6% del fatturato e del 32,5% delle ore lavorate. I cali sono visibilmente più marcati per le imprese con meno di 10 dipendenti (con una diminuzione del 39,7% del fatturato e del 37,3% delle ore lavorate).
L’84,5% delle aziende che ha partecipato al sondaggio sta riscontrando problemi relativi al rallentamento della domanda nel mercato domestico e nel mercato internazionale. Il disagio più evidente è riscontrato per il calo della domanda di beni e/o servizi di consumo in Italia.
Non meno rilevanti le problematiche relative alla gestione delle attività riscontrate dal 59,3% dei rispondenti. Il 19,6% degli imprenditori segnala forti disagi legati alla mancanza di materiale sanitario essenziale per lo svolgimento del lavoro in sicurezza.
È stato chiesto infine agli imprenditori, quali fossero le strategie che metterebbero in atto per superare la crisi. Emerge che nella maggior parte dei casi (78,2%) si sentono disarmati e non possono che attendere il ritorno alla normalità. “Dalle risposte qualitative degli imprenditori”, commenta Confindustria, “emerge chiaramente la doppia difficoltà di garantire i flussi di liquidità con l’azienda chiusa o parzialmente aperta e quella ad essa legata di poter ripartire a pieno ritmo il prima possibile per limitare le perdite di fatturato, che, seppure in modo spalmato sul tempo grazie agli aiuti governativi, dovranno essere ripagate in futuro”.