I punti fondamentali della piccola, imminente rivoluzione annunciata subito dopo l’elezione di Bergoglio ed avviata sei anni fa
Quando lo elessero, Giannelli disegnò Francesco mentre diceva: “I fratelli cardinali mi hanno fatto questa sorpresa. Ma non è nulla in confronto alla sorpresa che io farò a loro”. La sorpresa sta per arrivare, anche se sorpresa in fondo non è più, anche se concentrata in quella materia ostica e complessa che è il diritto canonico. Ma tutto questo, semmai, è garanzia di rivolgimenti che saranno silenziosi quanto profondi.
La riforma della Curia, annunciata praticamente subito ed avviata sei anni fa, è alle ultime battute. Su richiesta di Bergoglio il testo messo a punto è in questo momento al vaglio di migliaia di occhi attenti e menti allertate. Molto del futuro della Chiesa dipende da queste norme, ed i vescovi del mondo sono stati chiamati a suggerire i loro “miglioramenti”.
Facile immaginare quanto questo abbia portato ad un aggravio di lavoro in termini organizzativi e di sintesi, ma la Chiesa secondo Bergoglio è opera corale il più possibile. Inoltre si consideri che maggiore il coinvolgimento della base, maggiore l’adesione successiva alle disposizioni: la miglior garanzia per un lavoro accurato e destinato a durare nel tempo.
Quanto ai contenuti, in buona parte sono già conosciuti. A far circolare un documento cosi’ delicato per i cinque continenti era inevitabile che qualcosa sarebbe sfuggito alla riservatezza, ma anche questo alla fine giova al processo di lento assorbimento del nuovo corso.
Le novità più rilevanti
Punto primo: addio alla divisione tra congregazioni e pontifici consigli. Pare questione formale, invece è sostanziale dato che salta una distinzione anche gerarchica. Ne nasce un’altra, comunque, perché il dicastero principale non sarà più quello della Dottrina della Fede, ma il nuovo ufficio per l’Evangelizzazione. Quest’ultimo poi nasce ex novo da una fusione, quella tra l’attuale Congregazione per la Evangelizzazione dei popoli (chiamata “Propaganda Fide”) e l’attuale pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.
Un segno in più della volontà di rivolgersi alle periferie del mondo, geografiche come esistenziali, parlando con una voce sola. Del resto la costituzione apostolica con cui il Papa annuncerà la riforma avrà come titolo programmatico “Praedicate Evangelium“.
Seconda novità: i nuovi dicasteri sono posti al servizio del Papa, come da sempre avviene, ma anche del collegio episcopale. Con questa decisione ci si mette pienamente nella scia della volontà manifestata dagli anni ’60 in poi di riconoscere alle diocesi e ai vescovi una più forte voce in capitolo, all’interno delle decisioni vaticane. Evitando magari che chi viene da un paese lontano, se non magari agli estremi confini del mondo, sia in qualche modo messo in un ruolo di minorità rispetto a chi sta al centro.
Un’esperienza che lo stesso Bergoglio potrebbe aver provato quando era arcivescovo di Buenos Aires. Lo disse lui stesso, sei mesi dopo l’elezione, a La Civiltà Cattolica: “I dicasteri romani sono mediatori, non intermediari o gestori”. Più chiaro di così.
Terzo: nasce un dicastero per la Carità del Papa, che assorbirà la Elemosineria apostolica guidata dal presule polacco Konrad Krajewski. Questo perché dopo l’evangelizzazione deve venire la carità. Le offerte che confluiscono verso le mani del Santo padre andranno all’Apsa. Non, si badi, allo Ior; ed anche la Segreteria per l’Economia, in passato paragonata ad una sorta di superministero dell’economia, finisce declassata.
Ultimo punto (ma non è il meno rilevante): riconoscimento ufficiale per rango e centralità della attuale pontificia commissione per la Tutela dei minori, creata dal Papa Francesco nel 2014. Non un dicastero, si noti, ma una istituzione formalmente legata alla Santa Sede. Questo per impedire che venga in qualche modo indebolita nella sua indipendenza e autonomia. Non emanazione della Curia, insomma, ma parte di essa. E con essa pronta a confrontarsi su una delle grandi piaghe della Chiesa.
A voler sintetizzare, verrebbe da dire che la Curia come la vuole Francesco resta al centro del potere, ma di un potere di natura diversa rispetto alla comune concezione. Un potere che non impone ma ascolta, media e non sentenzia, interviene ma non è sordo. Insomma composto, più che di curiali, di curati di campagna, come quello di Georges Bernanos.