CALTANISSETTA – Non è in camicia nera, l’uomo del potere al balcone che domina la folla con la sua pistola: camicia bianca e cravatta, attuale per i nostri giorni, epoca dei colletti bianchi delle dittature più o meno striscianti.
È un viaggio nel tempo tra passato e presente, infatti, La lista, spettacolo evento del Laboratorio di Prima Quinta Teatro, scritto e diretto da Aldo Rapè per la Giornata della Memoria, e racconta i genocidi del passato e del presente, incisi nel cuore dell’uomo, che “è il campo di battaglia della lotta tra il bene e il male”, da sempre.
È importante la coscienza di questa ambivalenza congenita del cuore umano, capace di generosità e di amore così come di odio distruttivo e violenza disumana, perché è il rischio costante di cedere alla tentazione dell’odio che rende attuale il dovere della memoria, non come tributo al passato ma come DNA inevitabile per un futuro di pace.
Dalla spiaggia spensierata che ricorda il Papeete, dove una folla vestita di paillettes si scatena sulle note dell’inno nazionale versione disco, scandito dal tormentone “prima gli Italiani!”, emerge inquietante lo spettro di un nazismo suadente e a suo modo sensuale, che impone, insieme alla musica evocativa e allo sguardo glaciale e magnetico, i gesti dell’obbedienza, che trasformano la folla festante in una massa di deportati, di terra e di mare, perché è sul nostro mare che si consumano tanti genocidi contemporanei, e che vanno a disporsi nella “lista” che sfila davanti agli aguzzini del lager, dove un gesto o una parola decidono chi vive e chi muore, dentro i cancelli che delimitano la scena.
Sono questi cancelli, trascinati dalla fatica dei deportati, a scandire lo spazio e a trasformarsi in lager, in navi, in muri, in tutti quei recinti che imprigionano la libertà e la dignità degli esseri umani, dietro ai quali si affollano i racconti dei disperati, con le parole autentiche che abbiamo letto in tante testimonianze e interviste reali, ma che incarnate nei corpi e nelle voci umane che si accalcano davanti ai nostri occhi dietro quei reticolati, ci penetrano nell’anima con una forza diversa, diventano lo specchio, spietato, in cui ciascuno di noi può guardare in faccia il retroscena inconfessabile del proprio benessere.
I corpi si scuotono al ritmo della musica, pulsante come il battito del cuore umano, spesso esasperato “campo di battaglia” tra bene e male che ci riguarda tutti, e parlano della storia, anche con gli sguardi e i silenzi, ricamando lo spazio scenico di ragnatele espressive, e raccontando il dolore con le parole della poesia di tutti i tempi, da Brecht a Pavese, da Shakespeare alla tragedia greca, parole a cui la musica offre il contesto culturale che ne determina il senso, da Mozart a Piovani, con le citazioni cinematografiche da Spielberg a Benigni, fino alla pittura suggestiva di Chagall, evocata dalla sposa in rosso il cui amore è capace di resuscitare i morti.
È un tessuto intenso di cultura, il palinsesto scenico della Lista, la Costituzione del pensiero dell’identità europea e della sua civiltà più significativa, che stride, volutamente, con l’orrore barbarico della violenza che viene rappresentata, ancora più acuto quanto meno retorico, essenziale, evocativo, con gli spari muti che abbattono le vittime in ginocchio. Non c’è bisogno di rumore per guardare in faccia la morte.
Due testi musicali, al centro della performance, ne scandiscono il cuore positivo: Bella ciao, ritmata con energia epica dai protagonisti sulla scena e dalle voci che emergono dal buio della platea, e Il cielo in una stanza, colonna sonora della speranza che l’amore riesce a liberare e a fare vivere, al di là di tutte le pareti, anche quando queste si trasformano nel muro di Trump, o di Gerusalemme, che divide gli sposi e il loro amore, per riunirli poi sulla prua di un barcone che chiude la rappresentazione con un ennesimo viaggio della disperazione, come un Titanic del XXI secolo, inghiottito dal buio di un velario che lo nasconde, come nell’abisso senza scampo del mare.
È un’opera corale, La lista, pensata e scritta da Aldo Rapè interagendo per settimane con tutti i 40 personaggi in scena, coinvolti nel Laboratorio che ha preparato lo spettacolo: attori, mimi, danzatori (eccezionali i giovani della scuola Fly Dance di Alba Bifarella e il loro vertiginoso hip hop), cantanti (della scuola MAST79 di Mariangela Rizza), e i giovani artisti del Liceo “Juvara” che hanno lavorato alle scenografie insieme a Paolo Previti.
È anche la sfida di un territorio che custodisce tesori di creatività e di capacità espressive che si vogliono valorizzare, imponendo le proprie competenze in un progetto di nuova economia della produzione culturale, al quale Rapè crede molto, e sul quale si vuole impegnare a Caltanissetta anche nei prossimi mesi, a partire dalla struttura del Teatro Rosso di San Secondo, che ha messo a disposizione gli spazi scenici con grande generosità.
Un progetto culturale che ha saputo coniugare impegno civile e pedagogia della democrazia, a partire dal protagonismo responsabile che ha suscitato negli allievi del Laboratorio. L’impegno per il presente e per il futuro costruito sulla profonda radice della memoria, senza rimozioni né facili assoluzioni.
Perché, come diceva Benedetto Croce, la storia è sempre storia contemporanea.