CALTANISSETTA – Le lacrime arrivano a sorpresa, all’improvviso, durante la deposizione fiume nell’aula Loforti del Tribunale di Caltanissetta. “Io adoravo il giudice Borsellino e ora mi ritrovo ad essere attaccata dai suoi familiari. Non lo tollero, perché è profondamente ingiusto. Io a questo Stato ho regalato il 50 per cento della mia salute, oltre all’affetto di mio figlio che mi ha fatto perdere, per avere poi che cosa? Per essere indagata ingiustamente. Non lo tollero, no”. Annamaria Palma Guarnier è un fiume in piena. L’Avvocato generale di Palermo, che vieta le riprese e non si fa inquadrare dalle telecamere, depone al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio che vede alla sbarra tre poliziotti: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di calunnia aggravata in concorso perché avrebbero partecipato al depistaggio. Il magistrato risponde alle domande dei pm da indagata di reato connesso perché sotto inchiesta a Messina per calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra, insieme con il pm Carmelo Petralia con l’accusa di avere contributo al depistaggio. Una deposizione lunghissima in cui Annamaria Palma, difesa dagli avvocati Roberto Tricoli e Massimiliano Miceli, ripercorre le tappe della sua carriera e le indagini sulla strage Borsellino che coordinò a partire dal luglio 1994. Ha ricordato anche i suoi rapporti “personali e familiari con il giudice Paolo Borsellino “con cui abbiamo condiviso momenti bellissimi”. A pochi metri dal magistrato c’è Fiammetta Borsellino ad ascoltarla in silenzio. Seduta su una panchina di ferro, con un mantello nero addosso per il freddo in aula, non profferisce parola neppure durante una pausa. Ma ha lo sguardo stanco, sofferente. L’indagine su Annamaria Palma e Carmelo Petralia venne aperta nel novembre di un anno fa quando la Procura di Caltanissetta, che ha istruito il processo per il depistaggio delle indagini sull’attentato, ha trasmesso una tranche dell’inchiesta ai colleghi messinesi perché accertassero se nella vicenda, ci fossero responsabilità di magistrati. Così l’ufficio inquirente della città sullo Stretto ha aperto in un primo tempo un fascicolo di atti relativi. Che nel giugno scorso è diventata un’inchiesta per calunnia aggravata con alcune persone indagate, cioè i due magistrati Palma e Petralia. La Procura di Messina ha anche acquisito delle bobine con i brogliacci contenenti le intercettazioni di Vincenzo Scarantino che sono state inviate e depositate dalla Procura di Caltanissetta. Che ora chiede al Tribunale, come ha annunciato a fine udienza il Procuratore aggiunto Gabriele Paci, la perizia su una parte del brogliaccio redatto dagli operatori del gruppo ‘Falcone e Borsellino’ e sui nastrini relativamente a quelle parti in cui si indicano “interruzioni per guasti tecnici”. Dalle registrazioni depositate emerge che alcune intercettazioni si sarebbero interrotte, tra cui quelle con i pm Palma e Petralia con Scarantino. E ora i magistrati vogliono vederci chiaro. Secondo un poliziotto ascoltato di recente al processo, Giampiero Valenti, in alcune occasioni, avrebbe avuto l’ordine di “interrompere le registrazioni con Scarantino”, “quando doveva parlare con i pm”. “Emerge una discrasia, le telefonate non corrispondono a quelle che emerge dai brogliacci”, dice Paci.
Annamaria Palma a inizio udienza si siede sul pretorio e annuncia subito di volere rispondere alle domande dei pm. Da indagata di reato connesso avrebbe la possibilità di avvalersi della facilità di non rispondere. Ma decide di parlare. “Siccome faccio parte di questo Stato e siccome voglio contribuire a ricercare la verità anche in questo processo, intendo rispondere e non avvalermi della facoltà di non rispondere”, spiega. Inizia così un confronto serrato, prima con i pm e poi, soprattutto, nel corso del controesame, con i legali delle parti civili degli imputati che furono condannati ingiustamente all’ergastolo per la strage di via D’Amelio, a causa delle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino, gli avvocati Rosalba Digregorio e Giuseppe Scozzola. Con quest’ultimo ci sono due momenti di forte tensione. Buona parte dell’interrogatorio è fondata sulla gestione del pentito che ritrattò e poi ritrattò la ritrattazione Vincenzo Scarantino. “Si voleva accreditare come collaboratore di giustizia, mostrava la volontà piena di collaborazione, noi non abbiamo mai la percezione della falsità di Scarantino”, spiega rispondendo alle domande del Procuratore aggiunto di Caltanissetta Gabriele Paci e del pm Stefano Luciani. Palma fu applicata alla Procura di Caltanissetta nel luglio 1994 per occuparsi delle indagini. “In quella prima fase – dice il magistrato – a me Scarantino non diede affatto l’impressione sulla base di quello che dichiarava, di un collaboratore che non voleva collaborare. Cercava di rispondere al meglio alle domande, poneva anche delle precisazioni, faceva di tutto per accreditarsi come collaboratore insomma”. Palma racconta poi che nel 1994, ci fu una riunione in Dda a Caltanissetta in cui si decise di ‘rivedere’ da zero la posizione di Vincenzo Scarantino. “La decisione fu che prima di buttare a mare le dichiarazioni di Scarantino, dovevamo rivedere completamente tutto, rileggerlo da zero”, dice. E aggiunge: “Nel 1994, per questa ragione il pm Di Matteo va da Scarantino. Sia io che il dottore Nino Di Matteo eravamo quasi messi da parte, sapevo che Ilda Bocassini non mi riteneva un referente valido”, aggiunge. E sottolinea di “non avere mai ricevuto la nota con cui Ilda Bocassini e Roberto Sajeva esprimevano “perplessita’ sulla posizione di Vincenzo Scarantino”. E ribadisce i rapporti “freddi” con la pm Ilda Boccassini. Durante la gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino non ci sarebbero “mai stati contrasti” tra i magistrati che coordinavano l’inchiesta sulla strage di via D’Amelio, dice ancora la teste che aggiunge di non aver mai saputo che la ex collega Ilda Bocassini avesse scritto una nota in cui esprimeva dubbi sul collaboratore di giustizia.
Non sono mancati i momenti di tensione in aula. Specialmente quando il magistrato, parlando dei processi precedenti sulla strage di via D’Amelio, dice: ‘Io venivo attaccata in aula dai difensori degli imputati che oggi sono parte civile”. Una frase che fa insorgere l’avvocato Giuseppe Scozzola, che difende Gaetano Scotto e Vincenzo Orofino, che furono condannati ingiustamente per il processo Borsellino. “Se noi siamo parte civile è perche siamo stati calunniati”, dice a gran voce. E Palermo replica gelida: “Lei sedeva a difendere gli imputati”. Scozzola alza ancora di più la voce: “Imputati che sono stati assolti e revisionati”. E aggiunge: “La smetta. Non permetto che un indagato di reato connesso faccia queste affermazioni”. A questo punto il Presidente D’Arrigo ha sospeso l’udienza per cinque minuti. Fiammetta Borsellino, presente in aula, è rimasta impassibile ad ascoltare il botta e risposta tra l’avvocato generale di Palermo Palma e l’avvocato Scozzola. Anche Bruno Contrada, l’ex 007, entra nella deposizione di Annamaria Palma. “Non ho mai incontrato personalmente Bruno Contrada. E non ho mai sentito parlare di rapporti tra la Procura di Caltanissetta e il Sisde, salvo leggendo poi i giornali”, dice rispondendo a una domanda del Procuratore Paci. Lo scorso 5 aprile, Bruno Contrada era stato sentito nel processo di Caltanissetta e aveva detto che “24 ore dopo la strage di via D’Amelio” l’allora Procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra, appena insediato, incontrò nei suoi uffici proprio l’allora numero due del Sisde, Bruno Contrada. Un incontro “fortemente voluto dal Procuratore”, come aveva detto allora Contrada. Quel lunedì pomeriggio Tinebra avrebbe chiesto aiuto a Contrada: “Mi deve dare una mano nelle indagini”, gli disse. Ma Contrada avrebbe nicchiato e avrebbe risposto: “Nei Servizi segreti non facciamo indagini, ma posso darle un aiuto”. Oggi Palma dice anche di avere indagato su Contrada: “Io, e i colleghi Petralia e Di Matteo abbiamo svolto indagini sull’ipotesi della presenza di Contrada in via D’Amelio al momento della strage”. Poi nel corso del controesame, condotto dall’avvocato di parte civile Rosalba Di Gregorio, che assiste alcuni degli imputati accusati ingiustamente dal falso pentito Vincenzo Scarantino, replica anche alle polemiche che ci sono state nei giorni scorsi dopo la pubblicazione delle intercettazioni tra il pm Carmelo Petralia e Scarantino, in cui Petralia dice al falso pentito: “Si tenga forte, iniziamo un lavoro importantissimo che è quello della sua preparazione alla deposizione al dibattimento”. Oggi Palma spiega: “Preparare un collaboratore è una cosa che si è sempre fatta e molti pm continuano a farlo anche oggi. Non ha un significato di suggerimenti ma di spiegare a un collaboratore che non è mai entrato in un’aula di giustizia, come si svolgerà il dibattimento, chi si troverà davanti. Non c’è nessuna norma che vieti la cosiddetta preparazione”. “Il termine ‘preparazione’ è veramente infelice – dice rispondendo alle domande dell’avvocato Rosalba Di Gregorio – perché non si riferisce a suggerimenti o a dare ordini. La controprova della inesistenza della ‘preparazione’ di Scarantino del termine si ha proprio nelle sue lamentele e numerose contestazioni che gli ho posto”. Oggi si sarebbe dovuto sentire anche l’altro pm, Carmelo Petralia, oggi Procuratore aggiunto di Catania, ma il Presidente del Tribunale Francesco D’Arrigo ha ritenuto di rimandarlo in un’altra udienza data la prevista durata della deposizione di Annamaria Palma. Che, alla fine, è stata effettivamente una deposizione fiume. Il processo è stato rinviato al prossimo 10 gennaio. (di Elvira Terranova, fonte Adnkronos)