I Fatti del Grillo Parlante: “I MIEI RACCONTI BREVI”
Apportare un taglio,in senso longitudinale, ad una pagnotta di pane di grano tenero, sulla sommità impreziosita con abbondante “giggiulena”. Farcire, in rigorosa sequenza, con ricotta fresca di pecora, fettine di milza, non prima di averle intinte nel brodo caldo, in ultimo abbondanti scaglie di caciocavallo stagionato, ed una bella “spruvulazzata” di pepe nero. Cosa manca per completare
questo capolavoro della gastronomia nissena? Non lo sapete? Ma che farabutti siete?
La cosa più importante: “‘u brodu”. Il brodo caldo, con cui irrorare copiosamente il tutto, è un ingrediente fondamentale per la riuscita della focaccia nissena.
Le origini della focaccia nissena, come per le panelle, sono da ricondurre all’arrivo, nella nostra amata città, di alcune famiglie palermitane (‘u capistivu i palermitani cca minutedda? Hanno iniziato con le panelle ed ora ci ritroviamo ‘u sinnacu Gambino).
Giunto in Caltanissetta da Palermo, il signor Capodicasa cominciò a chiedersi cosa mangiasse codesto popolo di “picurara” e “surfarara”. Ben presto si rese conto, dopo un’attenta e minuziosa ricerca presso le numerose “putie” di vino, che in quegli anni offrivano ristoro ai propri avventori, che uno degli ingredienti ricorrenti era la ricotta: pasta con la ricotta, “ricuttedda calla calla” con il pane “ammugliatu”, dolci con la ricotta (rollò, cannoli e ravioline in testa), ricotta al forno, ricotta salata, frittata di ricotta (‘a froscia), financo ricotta “sbattuta ‘o muru”. Altra pietanza erano le polpette di milza e pane. Immancabile, nel periodo invernale, era il brodo di carne bollente, dove si inzuppava il pane raffermo.
Dopo questa attenta disamina, elaborò una variante del “pani ca’ meusa”, aggiungendo allo stesso la ricotta fresca ed il brodo bollente con i “fistuli” di maiale: ed ecco la focaccia nissena.
La focaccia nissena è uno dei miei piatti preferiti in assoluto (qualcuno dirà: ma c’è qualcosa che non ti piace? “ca ti mangi puru i pedi du tavulinu”). È possibile deliziare le papille gustative con tale prelibatezza, povera ed umile negli ingredienti, ma aristocratica nel sapore, da metà ottobre circa, sino all’approssimarsi della bella stagione (io “ma mangiassi” pure a luglio con 40 gradi).
Nel secondo dopoguerra, la focaccia nissena diventò un piatto molto diffuso in città e di conseguenza aumentarono le rivendite: Giangrasso in via Palermo, Spazzamuntagna in c.so Umberto, Amenta a Santa Lucia, ed altri. Ci fu anche chi convertì la propria attività, come tale Costa (don Pippinu chitarredda) che da “barber shop” (come si usa adesso chiamare “i varbera”) trasformò la sua attività in focacceria. Quasi tutte le suddette attività nel periodo estivo vendevano la “selsa” (il seltz), cioè l’acqua frizzante.
Ricordo la bottega di Capodicasa figlio, in via G. Gattuso, dove da bambino mi recavo per comprare la focaccia o in alternativa le arancine. Talvolta mio nonno Fofò portava, “ammucciuni”, la focaccia in negozio alla Cetty, nel suo periodo di gestazione.
Rimembro ancora, oltre alla bontà dei prodotti, la flemma del signor Capodicasa, potevano esserci cento clienti in attesa, lui manteneva sempre lo stesso ritmo (“cu voli aspittari aspetta”), e nessuno osava esprimere disappunto alcuno.
Nel 1982 aprì l’attività, in c.so Umberto, Falci Ignazio, rilevando la gloriosa rosticceria di Fiaccabrino. Falci chiese personalmente la ricetta (del brodo) a Capodicasa, che nel frattempo aveva ceduto l’attività per godersi la meritata pensione (sempre con la sua proverbiale flemma). ‘U zì Gnaziu dovette fare più tentativi prima di strappargli il segreto (u fici spinnari un pocu). Tutt’ora la “focacceria Falci”, adesso gestita dai fratelli Antonio e Salvatore, è punto di riferimento per chi vuole gustare la focaccia nissena. Potete apprezzare, questa meraviglia tipica del nostro territorio, anche presso il panificio “Sikania”, aperto da 3 anni in corso V. Emanuele e gestito dai fratelli Annarita e Salvatore Orifici, dove troverete il bravo Maurizio Pace, che da più di 35 anni (dapprima da Capodicasa e poi da Falci) “arrimina ‘a pignata du brodu”.
GRAZIE A TUTTI COLORO CHE CONTRIBUISCONO A MANTENERE VIVA LA TRADIZIONE DELLA FOCACCIA NISSENA, AFFINCHÉ IO NE POSSA FAR GODERE IL PALATO.
P.S.: “Ma a ttì ti piaci a focaccia?”
“Si, ma senza milza.”
“Ma va scassaci ‘a mi…lza.”