CALTANISSETTA – “Non avevo la capacita’ di memorizzare tutto quello che mi dicevano. Ero un collaboratore non un pentito. Il pentito si pente delle cose. Loro attraverso me volevano che nascessero altri pentiti. Per me queste torture sono state insopportabili”. Lo ha detto il falso pentito Vincenzo Scarantino, durante il controesame in corso al Tribunale di Caltanissetta nell’ambito del processo sul depistaggio delle indagini successive alla strage di via d’Amelio. Scarantino ha anche detto di aver deciso di collaborare per tutto cio’ che e’ stato costretto a subire, dal punto di vista fisico e mentale, quando era detenuto nel carcere di Pianosa. Il falso collaboratore ha riferito, che nel ’92, si guadagnava da vivere vendendo sigarette di contrabbando. “Non era mia abitudine – aveva affermato prima – spacciare eroina. Qualche volta e’ successo, ma non era la mia attivita’. Non mi sono mai occupato di ricettazione di auto e furti”. I tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. Fecero parte del pool Falcone – Borsellino che indago’ sulle stragi di Capaci e via D’Amelio. Anche oggi Scarantino, come nelle scorse udienze, e’ coperto da un paravento bianco.