ROMA – La Cassazione mette la parola ‘fine’ a un ‘cold case’ risalente a piu’ di 30 anni fa, quando Rosaria Palmieri, 22 anni, scomparve dalla sua casa di Gela senza lasciare alcuna traccia di se’: con una sentenza depositata oggi, i giudici di piazza Cavour hanno confermato l’ergastolo per l’ex marito della donna, Vincenzo Scudera, ritenuto responsabile dell’omicidio della coniuge, aggravato dai “motivi abietti”. Rosaria si era sposata ancora minorenne nel 1982, un anno dopo la nascita del figlio, al quale, quando la madre spari’, nell’aprile dell’87, il padre racconto’ che era scappata con un altro uomo. Ed e’ stato proprio il figlio, dopo 25 anni, a scoprire che non vi era mai stata una formale denuncia di scomparsa, e questo lo ha spinto a rivolgersi alla polizia giudiziaria. Dopo l’avvio di indagini e sulla base di intercettazioni e di testimonianze, Scudera era quindi stato arrestato a Pesaro nel 2014 dove si era trasferito. L’imputato, e’ la ricostruzione dei giudici, voleva “sbarazzarsi” della moglie, per “poter coronare la relazione sentimentale”, che aveva con la cugina di lei, e dalla quale, nel 1988 e’ nato un figlio. Nelle sentenze vengono ripercorsi anche gli ultimi mesi di vita di Rosaria, “connotati da visibili inflitte sofferenze fisiche e psicologiche”.
La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso dell’imputato contro la sentenza della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta, che nel novembre 2017 aveva confermato il carcere a vita gia’ inflitto a Scudera in primo grado. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, “l’elemento indiziario indubbiamente centrale e’ rappresentato dalla chiamata in reita'” di un collaboratore di giustizia, “‘de relato’ dallo stesso imputato” il quale gli confido’ “l’avvenuta consumazione del crimine”. Quanto al movente, e’ “robustamente accreditato dalla stretta concatenazione delle vicende sentimentali descritte nelle sentenze di merito”, nonche’ “dalla condotta mistificatoria e contraddittoria dell’imputato, precedente e seguente la scomparsa della moglie”: elementi “entrambi capaci – osserva la Cassazione – di ricondurre quest’ultima ad un’azione di deliberata eliminazione fisica e idonei ad attribuirne al medesimo imputato la paternità”. Scudera “che tradiva Rosaria Palmieri da data antecedente la sparizione – e’ la conclusione dei giudici di legittimita’ – non si era contestualmente peritato di accusare lei, falsamente, di tradimento e, per tale causa, di malmenarla anche davanti a terze persone. Dopo l’evento, l’imputato torno’ ad accreditare, anzitutto con il figlio, la tesi, contraria all’evidenza e che egli ben sapeva inveridica, dell’avvenuta fuga della donna con un altro uomo”: in tale quadro, “palese appare la strumentalita’ di tale comportamento, chiaramente indirizzato – si legge nella sentenza della prima sezione penale – a una vera e propria messa in scena, dal duplice intento. Quello di ‘liberarsi’ della moglie, per poter coronare la relazione sentimentale extraconiugale, il quale costituisce la causale in senso stretto dell’azione omicida, e quello di giustificare l’accaduto sia in ambito sociale, ove poteva percio’ apparire frutto di un allontanamento volontario, sia nello smaliziato ambiente malavitoso locale, ove l’omicidio non riusci’ a lungo a rimanere celato”. Infine, la Cassazione affronta il tema dei “motivi abietti”: “Non e’ stata offesa la moglie traditrice (o il suo partner) in un impeto riconducibile a sentimenti di gelosia, ma la moglie gia’ tradita, al fine di poter svolgere senza ostacoli la relazione infedele: condotta – conclude la Suprema Corte – non irragionevolmente ritenuta espressiva di quei sentimenti di natura spregevole e ignobile che sostanziano l’imputata aggravante”.