Imputata ma contemporaneamente persona offesa. E’ questa la singolare posizione del magistrato Maria Teresa Principato che martedì 29 gennaio sara’ interrogata dal gup del Tribunale di Caltanissetta nel processo in cui e’ accusata di rivelazione di segreto d’ufficio. Attualmente in servizio presso la Direzione Nazionale Antimafia, dal 2009 all’aprile 2017 ha ricoperto il ruolo di procuratore aggiunto della Dda di Palermo e ha coordinato il pool investigativo sulla cattura del latitante di mafia Matteo Messina Denaro. Nel medesimo procedimento e’ imputato anche Calogero Pulici un appuntato della Guardia di Finanza applicato alla segreteria del magistrato fino all’agosto 2015. Il militare e’ accusato di “accesso abusivo ad un sistema informatico”, e di questo reato la Principato e’ stata riconosciuta come persona offesa. Per entrambi il pm Pasquale Pacifico ha chiesto il rinvio a giudizio e il gup lo scorso ottobre ha disposto il processo abbreviato condizionato all’interrogatorio di Maria Teresa Principato che ha chiesto la fonoregistrazione del suo esame. Il fascicolo di indagine e’ stato aperto a seguito di un interrogatorio reso dalla Principato ai pm di Caltanissetta nell’ambito di un altro processo, in cui sono imputati il magistrato Marcello Viola (adesso procuratore generale di Firenze e fino al settembre 2016 a capo della Procura di Trapani) e lo stesso Pulici. Il 9 ottobre 2017 la Principato e’ stata ascoltata come persona informata sui fatti dal pm Pasquale Pacifico (titolare di entrambi i procedimenti a carico dei magistrati) e al termine dell’interrogatorio avrebbe telefonato all’appuntato della Finanza che per anni era stato applicato alla sua segreteria. “Indebitamente – hanno scritto i pm nella richiesta di rinvio a giudizio – rivelava al finanziere indagato notizie coperte dal segreto. Segnatamente riferiva all’indagato l’oggetto del procedimento penale e in particolare che lo stesso era relativo al rinvenimento nei dispositivi informatici di esso indagato di ‘dati sensibili’ concernenti l’attivita’ lavorativa e la sfera privata della stessa”.
Della necessita’ di liquidita’ economica parlo’ anche Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito del boss, divenuto collaboratore di giustizia dopo il suo arresto nel dicembre 2013. Anche Cimarosa e’ morto di malattia, nel gennaio 2017. “Sempre di soldi si parlava, signor presidente, solo di soldi”, disse ai magistrati ricostruendo la cabina di comando della famiglia Messina Denaro. Soldi per il boss che venivano trovati, secondo Cimarosa, con appalti e lavori in ogni campo, dall’edilizia alla green energy. “Ho versato a Guttadauro in piu’ tranche 60 mila euro (proventi dei lavori di un parco eolico). L’ultimo versamento di 8 mila euro l’ho fatto nello scorso ottobre”, ha riferito Cimarosa che ha ricostruito anche la consegna di Denaro proveniente da Vito Nicastri (arrestato dai carabinieri a marzo 2018) e finito al solito Guttadauro che li avrebbe consegnati a Messina Denaro.
MASSONERIA E MICROSPIE Sullo sfondo della latitanza di Messina Denaro si profilano i legami tra la mafia trapanese e la massoneria deviata. E del resto a Trapani nel 1986 fu scoperta la loggia riservata “Iside 2”, nata nel 1980 all’interno del circolo privato Scontrino, frequentato dai maggiorenti della citta’. La Commissione parlamentare Antimafia ha approfondito la materia; e nel Comune di Castelvetrano, il cuore del regno di Messina Denaro, nel dicembre 2017 ha contato “4 assessori su cinque iscritti alla massoneria”. La Procura di Trapani aveva aperto un fascicolo per “associazione segreta” nell’ambito delle ricerche del latitante. In quello stesso periodo si verificarono episodi inquietanti: una misteriosa intrusione nell’ufficio del procuratore capo Marcello Viola, e il ritrovamento di una microspia sull’auto del sostituto procuratore Andrea Tarondo, che indagava sulle logge trapanesi. Dopo averli ascoltati in commissione Antimafia il vice presidente Claudio Fava disse che “ci sono “interferenze” nelle indagini dei magistrati “per via della massoneria”.
LA MARCIA INDIETRO DEL PENTITO Di mafia e massoneria ha parlato anche l’ultimo pentito, Giuseppe Tuzzolino, architetto originario di Agrigento, protagonista di una controversa collaborazione con i magistrati, finita con il suo arresto per calunnia nell’agosto 2017. Nel 2014 aveva iniziato a riferire ai pm della Dda alcuni dettagli circa la latitanza di Messina Denaro, ricostruendo fiancheggiatori e coperture eccellenti. Tra gli inquirenti non c’era una valutazione unanime dei suoi verbali, piuttosto differenti “riflessioni dei due gruppi Dda Trapani e Agrigento che non avevano visioni unitarie sulla attendibilita’ di Tuzzolino”, disse il procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi. Poi Tuzzolino riferi’ di un presunto attentato in programma contro i magistrati Principato, Viola, Lo Voi e Marco Verzera, all’epoca in servizio a Trapani. Sostenne che a confidarglielo era stato un avvocato, Ennio Sciamanna, noto per aver difeso altri collaboratori di giustizia. Gli agenti della Squadra Mobile di Caltanissetta indagarono su Tuzzolino e svelarono che la minaccia di attentato era falsa. Lo stesso Sciamanna, ascoltato dai pm, smenti’ di aver riferito notizie analoghe. Tuzzolino dopo l’arresto ha rinunciato allo status di collaborante e i giudici nel febbraio 2018 lo hanno condannato con il rito abbreviato a tre anni e otto mesi. Adesso e’ in corso il processo d’appello.
INQUIRENTI INDAGATI Alcuni anni fa due carabinieri in servizio a Palermo, denunciarono i vertici dell’Arma sostenendo che avrebbero loro impedito di continuare le indagini su Messina Denaro. Adesso i due militari sono sotto processo a Palermo per calunnia. Nel 2012 Maria Teresa Principato (procuratore aggiunto della Dda di Palermo dal 2009 all’aprile 2017 e in quel periodo a capo delle ricerche del latitante) denuncio’ di essere stata “stoppata” perche’ dopo una riunione “mortificante” l’allora procuratore Francesco Messineo autorizzo’ l’arresto di Leo Sutera, capomafia di Agrigento. La Principato, che indagava (a stretto contatto con i carabinieri) sul boss agrigentino, era convinta che Sutera potesse condurre a Messina Denaro e quindi non riteneva opportuno arrestarlo in quel momento. L’arresto fu invece eseguito nell’ambito di un’altra indagine, non concentrata su Messina Denaro, e diretta dal pm Vittorio Teresi (con l’ausilio della polizia).
Un caso a parte e’ quello di Calogero Pulici, appuntato della Guardia di Finanza applicato alla segreteria della Principato dal 2009 all’agosto 2015. Il militare venne allontanato dagli uffici della Procura nell’estate 2015 dopo essere stato denunciato da un collega per molestie sessuali alla sua compagna. L’indagine e’ stata infine archiviata, ma prima di essere scagionato Pulici e’ stato intercettato. E quando nel dicembre dello stesso anno – a tre mesi di distanza dall’allontanamento – gli fu concesso di recuperare i suoi effetti personali, segnalo’ per via gerarchica la scomparsa di “un computer portatile da 10 pollici di mia proprieta'” e “di due pen drive da 1gb ciascuna contenenti i file riguardanti tutte le indagini su Messina Denaro e le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia”. Questi supporti informatici, secondo fonti qualificate della Guardia di Finanza, sarebbero stati in effetti oggetto di sequestro per essere sottoposti a perizia. Poco dopo, infatti, Pulici e’ stato indagato per peculato dalla Procura di Palermo con l’accusa di aver sottratto lui un computer dagli uffici, e nel giugno 2016 ha subito varie perquisizioni dalle quali sono scaturiti i processi per cui adesso e’ imputato assieme ai magistrati Maria Teresa Principato e Marcello Viola, dinanzi al gup del Tribunale di Caltanissetta per rivelazione di segreto d’ufficio.
CAPO SILENTE – Recentemente il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, ha detto che “il 2019 e’ l’anno in cui Messina Denaroverra’ arrestato” ma i vertici delle forze investigative hanno tracciato un profilo anomalo del latitante, rispetto ad altri capimafia arrestati nei decenni scorsi. “Probabilmente non ha piu’ alcun ruolo nell’organizzazione e quindi e’ defilato – ha detto Renato Cortese, questore di Palermo – non lascia tracce, non partecipa alle riunioni, non ha strategie criminali, gli affiliati non rendono conto a lui”. Sabato scorso il direttore della Dia, Giuseppe Governale, ha aggiunto che Messina Denaro “e’ formalmente soltanto il reggente della mafia di Trapani e non comanda l’intera Cosa Nostra. Periodicamente – ha proseguito Governale – facciamo pulizia di tutti i suoi uomini, a Castelvetrano e dintorni, grazie ad attente indagini condotte da una task force che si sacrifica e si dedica alla sua ricerca, e dalle investigazioni emerge che non ha alcuna valenza operativa, alcuna operativita’ reale sul territorio”. Al’inaugurazione dell’anno giudiziario il presidente della Corte d’Appello di Palermo Matteo Frasca ha precisato che “il territorio di Castelvetrano e’ divenuto vulnerabile a causa, per un verso, della mancanza su quel territorio di soggetti mafiosi di rango in liberta’, e, per altro, dalla ritenuta scelta di Matteo Messina Denaro che non ha autorizzato omicidi e azioni violente, come invece auspicato da buona parte del popolo mafioso di quei territori”.