CALTANISSETTA – RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO. Gentile redazione de Il Fatto Nisseno, vi prego di voler rendere pubblico questo mio appello in favore di un importante monumento della nostra città di Caltanissetta. Negli ultimi anni sempre più voci si sono unite al coro di coloro che amano Caltanissetta e la sua storia, e ci hanno restituito, mattone dopo mattone, tanti pezzi del nostro passato, spesso dimenticato o manipolato.
Essi hanno dimostrato grande attenzione non solo alle “carte” che narrano la storia, ma anche alle pietre e alle colonne, alle chiese e alle case, che spesso ci dicono molto di più delle parole.
A loro vorrei rivolgere il mio appello, affinché uniscano la loro voce alla mia per salvare da una lenta e inesorabile distruzione, un importante monumento della nostra città: la chiesa di S. Flavia.
Come molti sanno tale chiesa, con l’annesso monastero, nacque come ultimo atto d’amore di una giovane vedova verso il suo amato sposo, il principe Francesco II Moncada, rimpianto dall’intera città e da tutta la Sicilia, quando, appena ventitreenne, concluse la sua vita fra forti febbri. La chiesa fu vittima nel 1866 del saccheggio susseguito all’unificazione d’Italia e delle successive leggi di soppressione degli Ordini Religiosi. In quell’occasione tutto l’arredo interno della chiesa e del monastero fu confiscato e alienato, con la conseguente perdita di gran parte del patrimonio artistico che conteneva. L’imponente struttura, rimasta unica testimone del passato monastico, veniva poi gravemente danneggiata dalla presenza dei militari, che usarono la chiesa come stalla, distruggendo pavimenti e monumenti marmorei, lasciando (forse per l’impossibilità di arrivarvi) solo gli stucchi e un dipinto sull’abside.
Dopo la riapertura della chiesa fu l’intervento dei parroci Pilato, La Greca e Castiglione a salvare chiesa e monastero con diversi interventi di restauro e consolidamento, condotti anche a spese proprie. La chiesa, in particolare, fu restaurata l’ultima volta circa 25 anni fa, assumendo l’assetto attuale.
In questi 25 anni, il tempo, le intemperie e diverse difficoltà strutturali, hanno ridotto la chiesa al pietoso stato in cui si trova oggi.
Se volessimo fare un’ideale visita potremmo fermarci anzitutto dinanzi alla bella facciata, dove l’intonaco rovinato e cadente mostra il cemento sottostante, per non parlare del meraviglioso portale in pietra calcarea bianca, distrutto nella parte inferiore a seguito di calci e pallonate. Entriamo nella chiesa, che ci accoglie con la bianca maestosità del suo colore, in più parti scrostato e caduto, e con lo splendore degli stucchi, che sovrastano gli archi delle cappelle, rovinati qualche anno fa dall’incauta mano di un improvvisato pittore, che ha coperto la doratura artistica con un volgare colore dorato da ferramenta. Guardiamo le due prime cappelle a destra e sinistra, assai frequentate perché accolgono la statua processionale della Madonna di Fatima e il Sacro Cuore in una, e le immagini devozionali di S. Michele, S. Pio, S. Antonio e il Beato Dusmet, nell’altra, l’umidità le avvolge, in un freddo e sporco abbraccio, che lascia i suoi segni decisamente visibili.
Avanzando verso il transetto, tralasciamo le varie crepe che si sono formate nell’intonaco da una parte e dall’altra, per soffermarci sul famoso Crocifisso ligneo seicentesco, tutto incorniciato dal colore cadente e sovrastato da un arco dove gli stucchi floreali fanno bella mostra di sé, anzi facevano, visto che sono stati asportati recentemente, in seguito alla caduta di parte di essi. Non miglior sorte ha avuto la cupoletta, dove l’azzurro degli spicchi è adesso accompagnato da nuvolette formatesi dalla caduta dell’intonaco.
E poi il grande affresco sul presbiterio, opera del pittore catanese Cirinnà, dove i colori cadono giù con la stessa leggiadria con cui la Madonna ascende al Cielo.
Chiudiamo la nostra visita con la parete finale, la cosiddetta abside, dove da tempo le colombe hanno creato un passaggio ben visibile la sera, quando la luce dell’interno, attraverso una feritoia, si irradia verso l’esterno.
Noi nisseni siamo conosciuti per saper piangere ciò che non c’è più: palazzi abbattuti per far posto a mostruose banche, chiese antichissime rase al suolo per far posto a teatri e municipi, aree archeologiche saccheggiate e nascoste. Storia che muore, che scompare, che non si può più recuperare…
Abbiamo ancora la possibilità di salvare tante pagine della nostra storia, S. Flavia è una di queste, luogo di fede fin dal suo nascere, corona della città di Caltanissetta nei primi 3 secoli della sua storia, simbolo del riscatto e della rinascita negli ultimi 80 anni.
Possiamo salvare S. Flavia e conservarla per coloro che verranno dopo di noi, dono prezioso e di valore inestimabile.
Nisseni, autorità, storici, studiosi, amanti della piccola e povera Caltanissetta, accogliete questo mio appello e cerchiamo insieme di dare a S. Flavia l’attenzione e la dignità che merita, favorendo questo restauro, che è più urgente di quanto si possa pensare.
Ringrazio Il Fatto Nisseno per questo spazio che mi ha voluto concedere e ringrazio tutti coloro che si uniranno alla mia voce.
Un nisseno come tanti