CALTANISSETTA- La procura di Caltanissetta ha trasmesso gli atti riguardanti la sentenza Borsellino quater alla procura di Messina per valutare eventuali responsabilita’ che potrebbero ricadere sui magistrati che si sono occupati della gestione del falso collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino, le cui dichiarazioni portarono al ‘depistaggio pilotato’ sulla strage di via D’Amelio. “Circa una ventina di giorni fa – conferma all’AGI il procuratore capo di Caltanissetta, Amedeo Bertone – abbiamo trasmesso alla procura di Messina gli atti che riguardano i magistrati che hanno indagato sulla strage e dai quali sono scaturiti dal primo al terzo processo sull’attentato di via D’Amelio. Sara’ adesso la procura di Messina a fare le sue dovute valutazioni”. Valutazioni sull’operato dei magistrati allora coordinati da Giovanni Tinebra, successivamente deceduto. Un’inchiesta complessa di cui si occuparono anche l’attuale avvocato generale di Palermo Annamaria Palma, il sostituto alla Direzione nazionale antimafia Nino Di Matteo, l’attuale procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia. Il quarto processo e’ poi scaturito dalle dichiarazioni del collaboratore Gaspare Spatuzza. Furono proprio le sue rivelazioni che contribuirono a dare una svolta alle indagini. Due giorni fa si e’ aperto a Caltanissetta il processo contro i tre poliziotti accusati di calunnia in concorso con l’aggravante di avere agevolato con la loro condotta Cosa nostra, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, i quali, secondo la procura nissena, avrebbero manovrato le dichiarazioni rese dal falso pentito Scarantino, costringendolo a fare nomi di persone innocenti in merito all’attentato in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Contro di loro ha chiesto di costituirsi parte civile anche il ministero dell’Interno che ha presentato un conto salatissimo, 60 milioni di euro, per il grave danno d’immagine.
Un passaggio importante quello fatto adesso dai magistrati di Caltanissetta. Come scrive oggi ‘La Repubblica’, infatti, per la prima volta una procura valutera’ se gli ex magistrati dell’ex ufficio inquirente di Caltanissetta hanno commesso dei reati nella gestione di Scarantino. La Corte d’Assise, nelle 1865 pagine delle motivazioni del Borsellino quater criticava il team investigativo che indago’ sulla strage sotto la guida di Arnaldo La Barbera, il funzionario di polizia morto per un tumore nel 2002. Il falso pentito sarebbe stato spinto a fornire una versione distorta dell’esecuzione dell’attentato e avrebbero messo in atto il depistaggio. I magistrati avanzano anche il sospetto che si sia voluta occultare la “responsabilita’ di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del magistrato”. La Barbera, in particolare, sarebbe stato coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa di Borsellino. Il piano aveva un movente non definito, il presunto regista e’ ormai morto: l’ex capo della task force investigativa Arnaldo La Barbera, comprimari come Bo ed “esecutori” come Ribaudo e Mattei.
Palese l’inattendibilita’ di Scarantino emersa davanti a decine di magistrati: pur protagonista di mille ritrattazioni, le sue accuse hanno retto fino in Cassazione. Ingiustamente condannati all’ergastolo Salvatore Profeta, Gaetano Scotto, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana e Giuseppe Urso, poi scagionati nel processo di revisione. Il depistaggio dell’inchiesta sulla strage di via D’Amelio fu portato avanti grazie all'”attivita’ degli investigatori che esercitarono in modo distorto i loro poteri”, secondo la corte d’assise di Caltanissetta che parla, dunque, del “pilotaggio” delle dichiarazioni di Scarantino, pressato perche’ accusasse innocenti. Le sue scarse “capacita’ di reazione” furono azzerate a suon di botte e con una sorta di lavaggio del cervello, grazie alla quale il falso pentito indirizzo’ le indagini sulla fase esecutiva dell’attentato.
Gli investigatori avrebbero coordinato e reso sovrapponibili i vari contributi dei falsi collaboranti, segnati da “anomalie nell’attivita’ di indagine”, non rilevate pero’ dagli inquirenti e dai giudicanti, nonostante, “nel corso della collaborazione dello Scarantino”, ci fosse stata “una serie impressionante di incongruenze, oscillazioni e ritrattazioni”. Responsabilita’ di La Barbera si’, dei tre poliziotti pure, ma l’atteggiamento del falso pentito-picciotto della Guadagna e tutti i dubbi emersi su di lui “avrebbero logicamente consigliato un atteggiamento di particolare cautela e rigore nella valutazione delle sue dichiarazioni, con una minuziosa ricerca di tutti gli elementi di riscontro, positivi o negativi che fossero