“E sedutosi … li ammaestrava”: Talità Kum (di don Salvatore Callari)

L’omelia domenicale, al meglio della sua riuscita, ( intendo dire  da parte del celebrante  e da parte del buon ascolto )   è destinata a comunicare  elementi di riflessione per la formazione cristiana. Mi sembra  troppo effimera  la valutazione che se ne fa  in base al tempo dedicato a triturare  impietosamente e infruttuosamente i banali fatti quotidiani, quali i conflitti interfamiliari o le baruffe di cortile, o lo stucchevole insistere  sui problemi ,di per sé anche interessanti, ma inopportuni nei momenti di culto, quali il bullismo, il  terrorismo, la corruzione, le ingiustizie dilaganti e tutte le sconcocce che ci ammannisce la cronaca dei media. La Scrittura ci ammonisce:” ogni cosa a suo tempo”. Ritengo elementi di utile istruzione e formazione religiosa  l’argomento della morte e della sofferenza.  Realtà che ci vengono presentate, anche in  maniera dura dal Vangelo di oggi: la guarigione di una donna,( vai in pace e sii guarita ) e la morte di una fanciulla.( Io ti dico alzati : talità kum !”)  E’ nella esperienza quotidiana di tutti  l’amara constatazione della morte e della malattia e delle molte privazioni e angustie di ogni genere che sono causa di sofferenza.  Sono due argomenti che talvolta potrebbero indurre a guardare al Signore con aria di disappunto, o magari,  cedendo alla tentazione,  o con sentimenti di accusa. Si può arrivare a dubitare della potenza di Dio  o della sua bontà. Abbiamo mille prove  della paternità misericordiosa di Dio che non fa mancare i suoi favori:

“ Dio non gode della morte dell’uomo”. “ La gloria di Dio è l’uomo vivente”. “ Dio ha creato l’uomo per l’immortalità”! Ma è anche vero che l’uomo davanti  alla morte  si trova davanti ad un enigma che può essere “sciolto” con spirito di fede, ricordando che Cristo ha vinto la morte e ha dato all’uomo  una vita senza fine da godere nell’eternità. Così pure la sofferenza che Cristo ha combattuto intervenendo con molti miracoli , che ha affrontato in prima persona, sentendone il peso: “ Padre se è possibile passi da me questo calice.” e anche il grido sulla croce denota quanto dura fosse l’esperienza del dolore:

“ Dio mio, perché mi hai abbandonato !?”  Cristo non  ha eliminato la sofferenza ma ci ha insegnato ad accettarla soprattutto in prospettiva della vita futura, alla quale dobbiamo essere  e sentici collegati sulla “ linea” della fede.” Beati quelli che soffrono ( che sanno accettare la sofferenza)  perché saranno consolati”, sono quelli  “ benedetti dal Padre mio “.

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