E’ stata Legambiente a inventare la parola ecomafia, “un termine che e’ entrato nel dizionario della lingua italiana per definire l’insieme dei fenomeni criminali ai danni dell’ambiente”, ricorda Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, intervistato dall’Agi. “L’idea – racconta – venne a Enrico Fontana, allora nostro responsabile ambiente e legalita’, durante un incontro con Nicola Maria Pace, magistrato impegnato in questo campo a Matera. In questa definizione rientra l’attivita’ delle cosche mafiose, ma negli anni la nostra analisi si e’ estesa anche alla criminalita’ ambientale piu’ generale che coinvolge anche i cosiddetti colletti bianchi, i funzionari e i politici corrotti, le imprese del Nord che smaltiscono illegalmente i loro rifiuti pericolosi nelle altre regioni, chi devasta le spiagge con il cemento abusivo per farsi la casa – illegale – vista mare”.
Ma quali sono le dimensioni del fenomeno “ecomafia” in Italia? “Ormai, e da molti anni, e’ un fenomeno nazionale, anzi internazionale, globalizzato. Basti pensare alle navi container piene di rifiuti – spiega Ciafani – che dai nostri porti viaggiano sulla rotta dell’Africa e del Sud-Est asiatico. In Italia, esiste una maggiore concentrazione di reati nelle regioni del Sud, quelle vengono definite ‘a tradizionale presenza mafiosa’. Ma molto spesso gli affari illeciti di maggiore portata economica, e dalle conseguenze peggiori per l’ambiente, sono frutto del lavoro di vere e proprie holding criminali, di cui la famiglia mafiosa e’ solo uno degli ingranaggi. A spartirsi la torta, ce lo raccontano moltissime inchieste, accanto ai boss, ci sono funzionari e tecnici corrotti, politici dediti al voto di scambio, prestanome, banche e insospettabili uomini d’affari. Le attivita’ illecite hanno da tempo colonizzato anche il Centro-Nord“.
Avete creato un osservatorio nazionale su ambiente e legalita’. Cosa fa e chi sono i soggetti con cui collaborate? “L’Osservatorio nazionale ambiente e legalita’ – ricorda il presidente dell’associazione ambientalista – e‘ il nostro gruppo di lavoro dedicato al monitoraggio, all’analisi e alla denuncia dei fenomeni che riconduciamo sotto il termine ecomafia. Opera in sinergia con i nostri circoli, vere sentinelle sul territorio, e in stretta collaborazione con magistrati impegnati sui temi ambientali e tutte le forze dell’ordine. Ogni anno pubblica il Rapporto Ecomafie e alcuni dossier dedicati a settori specifici come i traffici di rifiuti, l’abusivismo edilizio, gli incendi, le infiltrazioni criminali nella green economy. Riceve le segnalazioni dai cittadini e svolge attivita’ di informazione e sensibilizzazione nelle scuole e nelle universita’. Organizza convegni e corsi di formazione in materia di illegalita’ ambientale per forze di polizia, avvocati, giornalisti“. Un importantissimo obiettivo poi raggiunto, anche se faticosamente, fu la legge 68 del 19 maggio 2015. “Lo abbiamo sempre detto e lo ribadiamo con convinzione. La legge 68 del 2015 che ha introdotto i delitti contro l’ambiente nel codice penale – ha affermato – e’ una riforma di civilta’. Abbiamo lavorato per 21 anni perche’ fosse approvata. Oggi la lotta al crimine contro l’ambiente dispone di armi piu’ efficaci e gli inquinatori hanno qualche motivo in piu’ per non stare tranquilli“. L’Ecomafia e’ un fenomeno solo italiano? “Assolutamente no. A differenza che nel resto d’Europa – sottolinea Ciafani – in Italia abbiamo cominciato a svelarlo grazie alle inchieste condotte da alcune procure sulla criminalita’ organizzata e sui suoi affari. Affari che molto spesso includevano attivita’ illegali ai danni dell’ambiente. Oggi, dal punto di vista delle leggi, rispetto all’esperienza maturata dagli inquirenti e ai risultati ottenuti nell’attivita’ di contrasto, siamo senza dubbio il paese piu’ avanzato“.
C’e’ un tema che ha riempito pagine e pagine di giornali negli ultimi anni: la terra dei fuochi. “E’ il titolo di un capitolo del Rapporto Ecomafia 2003 di Legambiente, pubblicato 10 anni prima dell’approvazione del decreto governativo. Anche in questa occasione – dice il presidente di Legambiente – le istituzioni hanno aspettato un tempo interminabile per cominciare ad affrontare questo problema drammatico ancora oggi irrisolto. Tre anni or sono, a Caserta, presentammo un dossier dal titolo ‘Terra dei fuochi, a che punto siamo?’. Denunciavamo, a un anno dalla legge che avrebbe dovuto fronteggiare l’emergenza, gli ingiustificabili ritardi rispetto alle procedure di analisi dei siti e alla bonifica delle aree piu’ contaminate. Oggi e’ cambiato poco. Chi vive in quelle zone ha diritto di riconquistare la fiducia nello Stato, ha diritto alla salute propria e dei propri figli”.
Cinque o otto punti che per Legambiente sono fondamentali per aiutare a risolvere il problema. “Maggiori controlli, buone leggi e certezza del fatto che “chi inquina, paghi”. Coordinamento tra le forze dell’ordine, collaborazione da parte dei cittadini, contrasto alla piaga della corruzione, sensibilizzazione rivolta alle nuove generazioni rispetto alla salvaguardia dell’ambiente, che e’ un bene di tutti e per questo spetta a tutti proteggerlo dalle minacce. Ma la cosa piu’ importante – ha precisato – e’ lo sviluppo di un tessuto economico sano, rispettoso delle leggi e dell’ambiente, forte e competitivo, che metta all’angolo l’economia illegale“. La vostra battaglia sulle ecomafie continuera’ ad andare sempre avanti? “L’approvazione della legge sugli ecoreati ci spinge ad alzare l’asticella del nostro impegno. Oltre alla nostra attivita’ di ricerca e analisi che poi confluisce nei dossier di denuncia, stiamo lavorando perche’ presto il parlamento approvi una legge che faciliti la demolizione degli abusi edilizi. La nostra presenza accanto agli investigatori in tema di inquinamenti, traffici illegali, aggressioni al territorio e’ costante. Siamo da sempre convinti che, anche in questo campo, collaborazione e sinergia – conclude – siano la carta piu’ efficace per sottrarre terreno all’ecomafia“.
Legambiente da anni e’ impegnata in prima linea nella denuncia degli “ecoreati” attraverso un lavoro costante e capillare di monitoraggio dell’Italia e non solo. L’associazione ambientalista, in tanti anni di lavoro, ha vissuto momenti difficili per i propri attivisti, con pressioni e minacce. Ma la schiena e’ rimasta sempre dritta. E guardando ai tanti giornalisti sottoposti ogni giorno a intimidazioni, alcuni dei quali addirittura costretti a vivere sotto scorta, solo per aver fatto il proprio lavoro, il presidente di Legambiente non ha dubbi: “Mai lasciarli soli. Il modo migliore per aiutarli e per depotenziare le minacce che hanno ricevuto e’ quello di non lasciarli soli. Se attorno a un giornalista che ha avuto l’ardire di scrivere degli affari loschi della famiglia locale o a un ambientalista che si batte per proteggere il territorio si forma una forte e concreta solidarieta’, se si accendono i riflettori e si condividono le battaglie, allora diventa piu’ difficile aggredirlo. E’ come per il pizzo. Se un commerciante o un imprenditore che denunciano restano isolati, se nessuno segue il loro esempio, diventano bersagli facilissimi. Quello di Libero Grassi e’ un esempio perfetto. Quando venne ucciso a Palermo, nell’estate del 1991, era un uomo solo, abbandonato dalle istituzioni e dalla citta’. Per i suoi colleghi la sua denuncia contro gli estortori era solo una “tammurriata”, utile solo a guadagnare visibilita’“.
I vostri attivisti hanno mai subito minacce dai mafiosi? “E’ capitato anche recentemente. Non siamo in grado di dire se fossero mafiosi o altro. Ma in certi luoghi, non sono mancate le auto date alle fiamme a danno di nostri volontari“.