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I Fatti di Etico. Partecipazione e Civismo I processi partecipativi si formano sulla base dei conflitti.

Michele Spena

I Fatti di Etico. Partecipazione e Civismo I processi partecipativi si formano sulla base dei conflitti.

Mer, 28/03/2018 - 21:26

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C’è una visione semplificata e buonista della democrazia partecipativa che è quella di dire: ascoltiamo, facciamo parlare i cittadini e obblighiamo i politici a tenerne conto. Una visione manichea in cui ci sono i governati e i governanti. Questa visione è un po’ quella dei cinque stelle e un po’ quella dei populisti: il popolo è il popolo! Ed è la visione del nostrano Polo Civico. Il punto interessante di questa forma di democrazia partecipativa è che si cerca di mettere a nudo e portare allo scoperto i conflitti tra i cittadini e fra questi, si sa, esistono conflitti di tutti i generi e sarebbe utile, oltre che bello, se questi conflitti li gestissero in autonomia e sempre in autonomia riuscissero a trovare una mediazione, a cercare di comprendere le ragioni degli altri, a trovare delle soluzioni che riescono a soddisfare più o meno tutti. La lezione di Sabino Cassese è chiara: la nostra è una democrazia rappresentativa. Non si può pensare che 63 milioni di italiani si riuniscano, come nell’agora di Atene, a deliberare insieme. E non si può pensare che una cittadina dell’entroterra siciliano, come la nostra, si scopra una realtà diversa dal resto d’Italia. E ciò possiamo affermarlo anche in funzione dell’elettorato attivo nelle ultime regionali. Luciano Canfora ha dimostrato che anche nell’agora di Atene si prendevano tutte le decisioni e non tutti decidevano. Quindi non una democrazia tale per cui tutti sulla soglia di casa decidano tutto di tutti ma una democrazia rappresentativa che però si arricchisce di una democrazia che da parecchi anni si chiama partecipativa o meglio ancora deliberativa. In altre parole una democrazia in cui si da una delega a qualcuno per prendere delle decisioni, in cui c’è anche la possibilità di tutti di partecipare a specifiche decisioni collettive (autostrade, scuole, centrali nucleari etc…) in modo che i cittadini siano edotti e possano far sentire la propria voce. Gli americani hanno una bella espressione sul procedimento amministrativo: notice and comment ( notice, l’autorità informa e comment, il commento e la reazione dei cittadini che dopo essere stati informati intervengono e partecipano attivamente) insomma una via diretta quasi referendaria è la risposta al divario fra cittadini e istituzioni. Dovremmo lasciare il diritto ai cittadini anche di non partecipare. C’è una sfera pubblica è una privata e non tutti vogliono essere coinvolti nei processi decisionali collettivi. La partecipazione diminuisce la vita politica e aumenta la vita sociale e quindi si crea uno squilibrio. Secondo i dati ISTAT la partecipazione alla sfera sociale è tre volte superiore alla partecipazione alla sfera politica. La società è viva e sta attenta ai problemi dello Stato e della collettività. Non possiamo illuderci però che si decida tutto insieme. Su 60 mln di cittadini l’elettorato attivo è composto da circa 40 mln. Possiamo chiedere ogni giorno a 40 mln di persone di decidere insieme? Non è possibile! Dovremmo prendere ogni giorno, compreso i giorni di vacanza, 8 decisioni, decisioni importantissime su: il fine vita, se investire nel mezzogiorno, se ratificare un trattato internazionale e così via. Quest’idea è un’idea mitica e non possiamo sollecitare nella collettività dei miti. Invece dobbiamo sollecitare nella collettività cose reali, la democrazia che viene chiamata deliberativa che aiuta i cittadini a comprendere. “Deliberation day” è un libro di due studiosi americani, non tradotto nella nostra lingua, che descrivono come ascoltare i cittadini e informare. Suggeriamo al Sindaco di leggerlo, visto che conosce l’inglese, e impararlo bene prima di cimentarsi in una partecipazione solo esclusivamente di facciata, e suggeriamo genericamente di leggere un po’ di più e non soltanto i titoli delle testate giornalistiche a lui favorevoli. Cerchiamo di non coltivare miti che poi non si possono realizzare e che in seguito creano un senso di malessere che porta inevitabilmente a rimanere delusi. Bisognerebbe, piuttosto introdurre un principio di deliberazione sulla base anche di specifiche competenze del cittadino. Non tutti che parlano di tutto. Se non c’è conoscenza e competenza si fanno chiacchiere da caffè, tutti possono esprimere opinioni sulla base di umori e non di conoscenze. È quello che è successo anche nella nostra piccola cittadina, un sindaco ostaggio di se stesso e del suo movimento che ha deliberatamente sollecitato dei miti nella nostra comunità e che ha solo portato delusione, disincanto e allontanamento dalle istituzioni. Perché solo così si può etichettare una piattaforma informatica per far votare i cittadini sul “bilancio partecipativo” costata alla collettività oltre 4.500 euro e che visto i 60 click degli amici e conoscenti esprimere una preferenza sul merito si commenta da sola. Ed è alla stessa maniera -sollecitare miti nella collettività- che si può etichettare l’istituzione delle consulte comunali. Alcune funzionanti, come quella femminile, altre depauperate di presenze e di interesse ancor prima di funzionare in modo fluido. Fortuna che che questo non ha portato a nessun esborso da parte della collettività.

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