Stato-mafia, requisitoria: “Condannare il generale Mori, l’ex ministro degli Interni Mancino e Dell’Utri”

PALERMO – Lo Stato processa un pezzo dello Stato. Dal generale Mario Mori all’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. Al termine della requisitoria al processo Stato-mafia, iniziato il 27 maggio 2013 e che oggi ha celebrato l’udienza numero 210, i Pm Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia e i sostituti della Procura nazionale antimafia Nino Di Matteo Francesco Del Bene, hanno formulato le richieste per gli imputati: boss, politici e carabinieri, accusati di avere avuto un ruolo nella supposta trattativa tra Cosa nostra e le istituzioni. Un patto con “il diavolo”, e’ stato detto dai Pm, finalizzato a far cessare gli attentati e le stragi, avviati nel 1992 e proseguiti nel ’93, per indurre lo Stato a piegarsi alle richieste di Cosa nostra. Un cedimento rispetto alla linea della fermezza che “ha messo il Paese in mano alla mafia“.
L’accusa ha chiesto 15 anni di reclusione per l’ex generale del Ros dei carabinieri Mario Mori, considerato il “protagonista assoluto” della trattativa, 12 anni per il generale Antonio Subranni, gia’ comandante regionale dei carabinieri in Sicilia, e la stessa pena il colonnello dell’Arma, Giuseppe De Donno. Dodici anni proposti anche per l’ex senatore di FI Marcello Dell’Utri, gia’ condannato definitivamente per mafia e detenuto, iche i Pm ritengono l’altro “mediatore” di Cosa nostra, colui che esercitava “un potere ricattatorio sull’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Sei anni di carcere chiesti per l’ex ministro dell’Interno ed ex presidente del Senato, Nicola Mancino, che risponde solo di falsa testimonianza.
La pena piu’ alta – 16 anni – e’ stata chiesta per il boss mafioso Leoluca Bagarella, cognato di Toto’ Riina, mentre 12 anni sono stati sollecitati per il capomafia Antonino Cina’. In forza della legge sui pentiti, i Pm hanno chiesto al Tribunale di dichiarare la prescrizione per Giovanni Brusca, l’ex boss che fece sciogliere nell’acido il piccolo Di Matteo. L’accusa infine ha chiesto la condanna a 5 anni per Massimo Ciancimino, imputato ma anche testimone chiave del processo, giudicato dalla Procura colpevole solo del reato di calunnia. L’imputazione piu’ grave contestata a Ciancimino, ossia il concorso esterno in associazione mafiosa, secondo i Pm e’ prescritta.

– “Come in un puzzle abbiamo messo insieme le tessere. La singola tessera – ha detto il Pm Teresi – diventa importante e fondamentale solo se si incastra perfettamente nel quadro generale. Siamo convinti che le singole tessere, a partire dagli anni Settanta e fino a meta’ anni ’90, siano tutte parte di un unico, univoco quadro d’insieme che ha a che fare con l’atto di accusa che abbiamo proposto. Un quadro d’insieme a tinte fosche, con qualche tessera sporca di sangue, il sangue di quelle vittime delle stragi”. Come quella di Capaci, “consumata per vendetta e per fermare la grande evoluzione normativa impressa da Giovanni Falcone. Quella fu l’ultima strage della prima Repubblica”, secondo al tesi della Procura, perche’ “i fatti poi si sono evoluti ma Paolo Borsellino era visto come un ostacolo al cambiamento che si voleva e si pensava nel momento in cui si avvia la trattativa. Via D’Amelio e’ la prima strage della seconda Pepubblica”.
Il Pm Di Matteo, che e’ stato trasferito da tempo alla Direzione nazionale antimafia e che ha continuato a seguire il processo Stato-mafia come ‘applicato’, ha lamentato: “Ci hanno accusato anche di attivita’ eversive e nessuno ci ha difeso, ma noi lo avevamo messo in conto, perche’ questo e’ un processo che punta a scoprire livelli piu’ alti e causali piu’ complesse, legati non a un fatto criminoso ma a una strategia piu’ ampia”. Recentemente era stato Vittorio Sgarbi, assessore regionale ai Beni culturali di fresca nomina, a parlare di “pm eversivi” durante la presentazione nella Sala Mattarella dell’Ars del docufilm su Mario Mori. “In ogni momento, anche quando abbiamo avvertito l’isolamento – ha aggiunto Di Matteo, ricordando che questa e’ stata la sua ultima udienza da applicato al processo – abbiamo proceduto senza paura, nella consapevolezza di avere compiuto soltanto il nostro dovere di magistrato nel rispetto della Costituzione e del diritto dei cittadini alla verita'”.

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