CALTANISSETTA – Si può dire di conoscere veramente un territorio solo se si va oltre l’apparenza e ci si sofferma per conoscere la cultura del popolo che ha vissuto in quei luoghi. Arte, letteratura, lingua, cucina e tradizioni. Tutto influisce e contribuisce a raccontare il passato e decifrare il presente. In questo grande calderone entra prepotente e dirompente anche la moda dell’abbigliamento. Prima delprêt-à-porter, degli outletmultibrand e dei franchising internazionali c’erano loro: le sarte. Queste interpreti di stile riuscivano, con maestria e inventiva, a creare dei veri e propri capolavori tessili. Caltanissetta, purtroppo, talvolta ha una memoria troppo cortae si lascia sfuggire alcune trame affascinanti del suo passato.
Tutti conosciamo i grandi stilisti che hanno reso il “made in ltaly” così famoso al mondo, pochi, invece, ricordano il contributo che 6 nostre concittadine hanno dato alla moda locale.
Per non lasciare cadere tutto nell’oblio nel 2009 Roberto Bognanno, un giovane studioso di comunicazione di moda, ha raccolto le testimonianze delle eredi delle celebri sarte. Sfruttando quel materiale ha organizzato una mostra temporanea prendendo in prestito gli abiti e gli accessori che, fino a quel momento, erano gelosamente conservati nei bauli delle ex clienti, figli o nipoti di queste artiste di ago e filo. Un’indagine che è stata anche riportata in un catalogo “Caltanissetta tra eleganza e moda nel ‘900” e stampato con il contributo dell’amministrazione cittadina ed associazioni locali. Un grande lavoro di recupero delle tradizioni che meriterebbe una maggiore attenzione.
Pizzi, balze, bottoni e merletti, in questo caso,sono identificabili con usi e consuetudini di quel popolo.
A Caltanissetta si possono contare 6 sartorie che, tra gli anni ‘30 e ‘70, sono state gestite seguendo un modello di organizzazione aziendale. Sei atelier con locali dedicati, una proprietaria e lavoranti stabili. Si tratta delle sartorie Capizzi, Falci, Ferrara, Isabella, Marcella e Piemonte.
Come, però, ha precisato Roberto Bognanno nel suo volume : “una ricerca sulla storia delle sartorie diventa, inevitabilmente, una ricerca sulle persone”. Ed è per questo che, per comprendere il valore di queste professioniste bisogna ricordarle innanzitutto come donne.
In ordine cronologico è stata Isabella Campisi la prima a realizzare a Caltanissetta capi di alta moda. Lei ha vestito le donne delle famiglie nobili di tutto il Centro Sicilia riuscendosi ad adattare alle evoluzioni dello stile. In poco tempo, infatti, le donne hanno abbandonato i corsetti e si sono innamorate delle gonne a ruota.
Subito dopo sono state aperte le altre sartorie.
“Vorrei che mia madre fosse ricordata non solo per il suo lavoro di sarta – ha raccontato Michele, figlio di Marcella Ginevra – ma anche come un’imprenditrice di sé stessa”. Una caratteristica che questa donna ha condiviso con le altre colleghe concittadine. Tutte e sei, infatti, riuscirono a conciliare la vita domestica con quella professionale.
Le sartorie non erano solo laboratori di taglio e cucito ma luoghi di incontro. Al suo interno militavano molte donne di differente età e stratificazione sociale: dalle signore borghesi che commissionavano un abito per il ballo della stampa o di carnevale alle giovani apprendiste alla ricerca di un riscatto sociale. Per Marcella Falci rendereautonome le sue lavoranti era una missione. Chi l’ha conosciuta racconta che la sarta non si curava solo di insegnarealle sue lavoranti tutti i passaggi necessari per creare interamente un capo ma pagava loro anche i contributi previdenziali. Un’abitudine, quest’ultima assolutamente insolita dato che, generalmente, chi veniva accolto per “imparare il mestiere” non riceveva alcun compenso.
Negli atelier non si imparava solo a tagliare la stoffa con maestria ma anche la passione per questo lavoro. A raccontarlo è stata l’ex apprendista Maria Bosco: “Ancora oggi realizzo abiti proprio come mi ha insegnato Maria Catena Piemonte. Sto attenta a tutti i particolari perché sono quelli che rendono un abito unico”.
Ritrovare a distanza di oltre 50 anni alcuni di questi capi è la dimostrazione del valore artistico racchiuso in quelle stoffe. “Avere un abito di Pina Capizzi a Caltanissetta era come dire di avere un abito delle Sorelle Fontana a Roma. Se fosse vissuta a Roma o Milano, il suo nome oggi lo troveremmo accanto a quello dei grandi sarti che hanno fatto la storia della moda” ha ricordato la nipote Silvana di Cataldo. L’entroterra siciliano, troppo isolato dalla capitale italiana della moda, ha impietosamente ridotto l’eco di queste eccellenti artiste.
La vita e il lavoro di queste sarte, però, non sono solodei curiosi aneddoti di artigianato locale. Si tratta, piuttosto, di un esempio virtuoso di imprenditoria femminile. È il ricordo della storia del costume e della cultura locale. Ed è proprio per rispetto all’identità nissena che gli abiti ancora esistenti dovrebbero essere ripresi dai bauli ed esposti per guadagnare un posto di rilievo in museo cittadino. Ogni capo realizzato, del resto, non era pensato come un semplice indumento utile a ripararsi dal freddo ma, come ha come ha ben argomentato Roberto Bognanno,una “sintesi del desiderio della cliente, dell’estro della proprietaria e del lavoro delle sarte”.
Isabella Campisi, Pina Capizzi, Clementina Ferrara, Marcella Falci, Marcella Ginevra, Maria Catena Piemonte dovrebbero ricevere almenoun po’ degli onori che sono stati concessi a concittadini come Tripisciano,Frattallone e Guadagnolo. Dedicare loro un’esposizionepermanente permetterebbe di definire con maggiore completezza l’identità nissena e i suoi esempi di imprenditoria femminile artigiana. Un “regalo” per i cittadini e un’opportunità per incrementare l’offerta turistica del territorio.
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Mia zia Pina, ha lavorato presso l atelier di Marcella Ginevra, ho respirato,anche che se bambina, questa magia. Complimenti!