Le indagini della Squadra Mobile, condotte con il Commissariato di Niscemi, erano culminate nel 2011 con l’emissione di sei ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico dei tre (oltre che di Alessandro Emmanuello, Sebastiano Montalto e Rosario Lombardo). Indagini che misero in risalto la figura di Alfredo Campisi, soggetto emergente di Cosa nostra, in un momento in cui all’interno della famiglia di Niscemi si era registrata una spaccatura dovuta alle ambizioni di comando dello stesso Campisi, il quale gia’ dal 1994, aveva iniziato a creare un proprio gruppo di spietati minorenni tra i quali, in particolare, spiccava l’attuale collaboratore di giustizia Giuliano Chiavetta. Ambizioni che furono soffocate con la sua uccisione avvenuta il 6 novembre del 1996 sul ponte Dirillo, nelle campagne di Acate, al confine tra la provincia di Ragusa e quella di Caltanissetta. A commettere materialmente l’omicidio Antonino Pitrolo, oggi collaboratore di giustizia, e Giuseppe Buzzone, gia’ condannato, in un altro procedimento, alla pena di 17 anni. Alfredo Campisi fu colpito piu’ volte alle spalle dai proiettili esplosi da una pistola semi automatica Walther calibro 7,65 mentre si trovava alla guida della propria autovettura, una Y10, in compagnia di Giuliano Chiavetta (anch’egli collaboratore di giustizia). Pitrolo e Buzzone portarono a termine l’omicidio dopo un lungo inseguimento compiuto a bordo di una Fiat Tempra. Inseguimento iniziato alle porte di Niscemi e concluso sul ponte Dirillo.
In precedenza Alfredo Campisi era stato vittima di altri due tentativi d’omicidio, per i quali, dopo le indagini della Squadra Mobile nissena, furono condannati Alessandro Emmanuello (all’ergastolo, in qualita’ di mandante) ed il collaboratore Emanuele Celona (in qualita’ di esecutore materiale) colpevoli di aver attentato la vita di Campisi nei pressi del laboratorio artigianale di lavorazione marmi di Niscemi dove la vittima lavorava. Mentre i gelesi Emanuele Greco, Massimo Carmelo Billizzi, Fortunato Ferracane, Nunzio Licata furono condannati, in quanto riconosciuti esecutori, per il tentato omicidio consumato nei pressi della piazza principale di Niscemi. Lo scorso 6 ottobre, a Giuseppe Amedeo Arcerito sono stati confiscati terreni, mezzi agricoli e fabbricati per un valore complessivo di circa cinque milioni di euro, acquisiti grazie al suo ruolo di vertice ricoperto in seno a Cosa nostra di Niscemi