CALTANISSETTA – Seduti sui gradini del Redentore con due bottigliette di te in mano, comincia così la lunga intervista a Giovanni Di Lorenzo chirurgo all’ospedale Sant’Elia con la passione per la fotografia. Ma in fondo non è proprio così, perché lui in tutto mette passione, talmente tanta che a volte sembra strabordante. Una storia familiare che parte da lontano che si intreccia con la ricca nobiltà veneziana e la cultura ai massimi livelli, il suo bisnonno era amico di Gabriele Dannunzio tanto per dirne una. Diego Cangelosiera professore di latino a Venezia e sposò la nobil donna Amalia Polo de Tolomei. Il professor Cagelosi dall’alto delle sue numerose lauree riordinò la prima biblioteca d’Italia all’università di Cà Foscari. Diventò in seguito direttore del convitto nazionale d’Italia ed in forza di questi incarichi non andò in guerra. Nel 1931 nacque sua nonna Sarì che sposò un Giovanni Di Lorenzo e così la storia va da se. Ma questa storia è intrisa di sentimento, cultura, ricchezza e passione politica, coraggio. Ad un certo punto fervente antifascista il nonno del dottor Di Lorenzo decide di abbandonare Palazzo Segredo per non sottostare alle regole della dittatura e lascia Venezia con 11 vagoni pieni di tutto ciò che era suo e va via verso la Sicilia. Tra i mobili che porta con se una preziosissima scrivania con il piano leggermente inclinato che di generazione in generazione è passata al nipote dottore.
Torna nella sua amata ed odiata Sicilia la terra madre, tanto amata lei quanto detestati i suoi abitanti. “Mio nonno era di Salaparuta, la sede delle cantine era la vecchia villa di famiglia, villa Amalia in onore alla mia bisnonna, lui la dipinse tutta di rosso in pieno stile Veneziano- racconta orgoglioso- ma poi durante la seconda guerra mondiale l’esercito italiano la ridipinseperchè troppo individuabile dalla contraerea nemica.” Ha il sangue misto,il freddo delle terre del nord ed il calore della Sicilia si mescolano nei suoi colori e nella sua gestualità.Il biondo teutonico della sua carnagione e l’azzurro dello sguardo si incontrano con la sua perenne solarità. Ha cominciato a fotografare a 14 anni ancor prima di fare il medico nei lunghi inverni nella sua Petralia che ha immortalato nel libro “Abbruscia a me terra”. “A Petralia o facevi qualcosa o morivi di noia –sorride- allora cominciai a fare i primi esperimenti fotografici, ricordo da adolescente i 6 rullini del reportage della gita di istruzione in Grecia.” E’ un fiume in piena il fotografo dottore,mentre parla si alza di scatto e fotografa un bellissimo tramonto che appare alle nostre spalle, o meglio scopare alle nostre spalle. Però la fotografia non è fine a sestessa. La sua idea di donare agli altri è proprio questa; non solo attraverso il suo lavoro ma anche e soprattutto attraverso la sua passione. La novità che ha voluto introdurre nella nostra città e nel nostro territorio è la fotografia a servizio della prevenzione nel sociale. “Un giorno da giovane tirocinante mio padre mi vide camminare col camice svolazzante in corsia e mi disse che se volevo essere un buon medico dovevo cominciare abbottonandomi il camice, non dimenticherò mai più quelle parole.” Figlio di un primario chirurgo di chiara fama che per scelta restò sempre nell’ospedale del suo paese, contempera il rigore della medicina con la fantasia e la creatività dell’arte del fotografare ed allora proprio per questa ragione ha cominciato a far camminare di pari passo le due cose.Tante le iniziative promosse insieme all’ Ail il cui presidente è un’ altro chirurgo Aldo Amico un compagno di viaggio, un alleato, che ha sempre appoggiato tutte le sue idee “folli”. Tutto è partito con una mostra fotografica promossa dalla Lilt “La prevenzione vola sulle ali dell’arte” in una scuola superiore, l’Ipsia “Galileo Galilei”.
Le foto scattate dai ragazzi per raccontare a modo loro i corretti stili di vita, un esperimento riuscito rispetto all’eco mediatico che ha avuto l’evento e la partecipazione dei giovani e da li ha preso il via un tour per le scuole dove attraverso la fotografia è stata spiegata la prevenzione da numerose malattie. Ha al suo attivo non solo personali, ma anche un libro “Abbruscia a me terra” ed uno spettacolo teatrale “Salvami” per la regia di Ivan Giumento costruito proprio sulle sue fotografie. Una in particolare, il volto di un bambino profugo immortalato a porto Empedocle durante gli sbarchi. “ Le fotografie si fanno con gli occhi del cuore -racconta- quando fotografi per lanciare un messaggio che riguarda la salute ti devi fermare a pensare. Attraverso la fotografia diventa un messaggio che non fa male e soprattutto che non fa paura. Mi piacerebbe formare “ i giovani della prevenzione”affinchè possano trasmettere agli altri che valore ha vivere in maniera sana.” Le sue foto arredano un percorso di dolore, il corridoio che porta alla Pet al Sant’Elia. “Quando il direttore generale dell’azienda Carmelo Iacono mi ha detto che avrebbe voluto arredare quel corridoio quello della Pet con le mie foto, mi sono emozionato non tanto per la decisione–ci dice- quanto per il valore simbolico emotivo che le mie foto avrebbero avuto nella mente di chi percorre quel corridoio.” La medicina e la fotografia hanno sempre avuto un percorso uguale e parallelo nella vita di Giovanni Di Lorenzo da quando suo padre a 7 anni gli insegnò a fare il nodo chirurgico e mentre allestiva nel soggiorno una sala operatoria improvvisata con i suoi amici e sotto i ferri ci stava una bambola di pezza una macchina fotografica prima maniera immortalava la scena con unautoscatto. è questo Giovanni Di Lorenzo, genio e sregolatezza, impeto e passione. Un vulcano in eruzione. Amato dai suoi coetanei, placato dai colleghi più maturi e con più esperienza che lo guardano con benevolenza. E’ una storia nella storia la sua, con una famiglia così importante alle spalle, eppure così al di sopra delle regole borghesi e delle convenzioni lui, fino a concedere un’intervista seduto sui gradini di una scalinata che per quanto antica, sempre pur scala è. Abbiamo così assaporato il sapore raro della semplicità.