Per parlare dell’antica razza Cornuta di Caltanissetta non potevamo non ricorrere a chiedere informazioni a Giovanni Cirasa al quale dobbiamo rendere un ringraziamento speciale perché fautore della riscoperta di questa straordinaria tipologia di avicoli, conservata grazie ad una tradizione che l’ha protetta per secoli.
Giovanni Cirasa nei confronti della razza Cornuta di Caltanissetta ha questo importante ruolo di “custode di razza” nella triplice veste di:
- presidente dell’Associazione Siciliare che tutela la biodiversità siciliana e tutti i prodotti 100% siciliani (anche di varietà orto-frutticole, quali: le carrube, le sorbe, le susine bianche di Monreale, le nespole di Trabia, il pomodoro faino di Licata detto “buttiglieddu”, il Serpente di Sicilia (una varietà di zucca), le fave di Leonforte, il fagiolo Badda di Polizzi, la cipolla paglina di Castrofilippo, il cavolo trunzo di Acireale, ecc.);
- presidente dell’Associazione TSR (Tutela Razze Siciliane) che si occupa, nello specifico, del recupero di ceppi puri e della selezione di tipo conservativo delle antiche razze autoctone (non solo di galline, ma anche di asini, capre, cavalli, mucche e pecore indigene);
- nipote di nonni appartenenti alla Congregazione di San Michele, che hanno tramandato oralmente il racconto della tradizione, grazie al quale si è potuti risalire alla riscoperta della razza “cornuta” attraverso il contatto con un parroco di zona le cui indicazioni hanno aiutato Giovanni Cirasa, Angela Cugino e Salvo Amico (rispettivamente Presidente, Vicepresidente e Segretario dell’Associazione TSR) ad effettuare le giuste ricerche, per le campagne e i numerosi pollai, con l’intento, poi premiato, di ritrovare alcuni esemplari di questa rarissima gallina con la cresta cornuta (una vera impresa, se si pensa che per portarla a compimento sono stati necessari circa 10 anni di lavoro).
La Cornuta di Caltanissetta, (detta anche Coronata), la Bruna delle Madonie e La Val Platani costituiscono le antiche razze siciliane le cui origini si perdono nei millenni. Sono infatti documentate fin dai tempi dei greci e dei romani e sono state nel tempo esportate anche all’estero e riselezionateLa ricerca dell’antica razza Cornuta di Caltanissetta
E’ stato grazie ai racconti dei nonni che narravano della presenza di questo animale quasi leggendario in occasione della tradizionale festa della Congregazione di San Michele che si è attivato il desiderio di ritrovarlo, pur consapevoli e preoccupati di una già probabile estinzione della razza (comunque tutt’ora a rischio).
Fortunatamente la ricerca della splendida Cornuta di Caltanissetta non solo si è conclusa positivamente, ma ha anche reso possibile il censimento completo di tante altre razze domestiche siciliane.
Ecco quello che Giuseppe Cirasa e compagni raccontano in proposito: “Siamo stati aiutati da numerose persone con la nostra stessa passione. Oggi l’associazione TSR, che si finanzia con donazioni e contributi degli stessi soci, ha circa 600 associati in tutta Italia, ma ci sostengono anche dall’Australia e dalla Germania.
Praticamente queste razze sono state lasciate per decenni in completo stato di abbandono e continuano ad esserlo. La fortuna di queste razze è la loro rara bellezza. Gli amatori le hanno tutelate e protette e fatte conoscere all’estero, dove ci invidiano questo patrimonio ricevuto in dono dai nostri nonni.”
In passato la Cornuta di Caltanissetta veniva benedetta proprio in occasione della festa del Santo Patrono (San Michele, patrono di Caltanissetta dal 1625, si festeggia ogni anno con la processione nel giorno dell’8 Maggio); questo rituale della benedizione degli avicoli è poi purtroppo andato perduto ma già oggi c’è la proposta di tornare ad inserirlo (potrebbe essere un modo per salvaguardare ulteriormente la razza oltre che una riscoperta di una parte importante di questa tradizione).
La Cornuta di Caltanissetta e la leggenda della lotta tra San Michele e Lucifero. Ecco di seguito la leggenda “che conduce” alla Cornuta di Caltanissetta:
“Come tutti sappiamo, Lucifero fu cacciato dal Paradiso perché voleva farsi simile a Dio.
E il Padreterno mandò l’Arcangelo Michele a combattere lo spirito ribelle: ed ecco i due iniziare, così, un incredibile duello nei cieli, all’insegna del motto del Principe celeste «Quis ut Deus» («Chi come Dio»?). Il diavolo vola veloce da una nuvola all’altra, tenta di sfuggire all’Arcangelo che ad un certo punto sta per raggiungerlo e afferrarlo: ma Lucifero, con un balzo portentoso, riesce a scansarlo ed eccolo piombarsi in Sicilia, ove tenta di trovare rifugio all’interno del Mongibello, cioè a dire l’Etna. Lì si raggomitola a mo’ di serpente, ma è talmente lungo che il vulcano non può accoglierlo tutto e così la testa gli rimane fuori del cratere. A quel punto San Michele, accortosi di ciò, spicca anch’egli un prodigioso salto e raggiunto il vulcano con un colpo della sua spada fiammeggiante tronca di netto un corno del demonio.
Vuole la leggenda che questo corno, con una lunghissima parabola, finisca addirittura nei pressi di Mazzara e che si trovi ancora lì, al chiuso di una grotta, dove nessuno può entrare a meno che non voglia andare incontro a morte sicura. Il diavolo allora, fremente di rabbia per aver perduto un corno, lancia un lungo e terribile urlo, tanto da far tremare tutta la terra: e dato che si vede ormai perduto, con un altro prodigioso balzo sbuca fuori dal Mongibello, che prende a vomitare fuoco: e con un impeto di vendetta, si scaglia contro San Michele, riesce ad addentare la penna di un’ala dell’Arcangelo e a staccargliela di netto.
Contento e baldanzoso per quella preda – una penna che, secondo la tradizione, è tutta adorna di preziosissime perle – il diavolo vola via, ma ecco che ad un tratto gli sfugge di bocca per cadere proprio a Caltanissetta.
Ed è una popolazione pervasa da una grande gioia quella che accoglie la celestiale reliquia – il cui arrivo è preceduto da un chiarore soprannaturale – non potendo sperare in un dono migliore dal Cielo. Processioni e preghiere di ringraziamento si susseguono in città, dove si organizzano feste straordinarie e si decide l’erezione di una chiesa a memoria del prodigioso evento, con un grande tabernacolo tutto d’oro ove custodire la penna. Ma questa che fine ha fatto, visto che poi se n’è persa ogni traccia? Così conclude la leggenda: pare che, proprio a causa dei troppi peccati della popolazione nissena, se ne sia volata – sdegnata – nuovamente in cielo per ritornare all’Arcangelo. L’Arcangelo Michele allora affidò ai pastori un compito molto difficile; per riscattare l’onore dei nisseni affidò loro un animale che racchiudeva in se quel corno perduto e quella penna, chiedendogli di conservare l’animale e di cederlo solo a persone affidabili, persone che abbiano dimostrato in vita di essere oneste e corrette. Esiste poi un’altra leggenda che lega le corna a quelle del bue e al fatto che siano nate per il desiderio della gallina di avere le corna come lui.”
E’ proprio questa leggenda che ha originato il detto nisseno “Conservate questa gallina, pena la dannazione eterna” e la tradizione famigliare di custodire il segreto.
Giovanni Cirasa racconta: “Grazie a questa tradizione la Cornuta di Caltanissetta si è potuta conservare in purezza e oggi possiamo ammirare questo spettacolo della natura. Secondo la vecchia tradizione tramandata, questi esemplari Cornuti endemici non devono mai uscire delle campagne del territorio nisseno e dei vicini paesi dell’hinterland nisseno dove si sono creati diversi secoli fa, ma si possono solo affidare gratis alcune coppie, ad alcuni parenti ed amici del luogo ritenuti affidabili, per conservarli ed allevarli per se stessi a scopo amatoriale, è stata da sempre vietata qualsiasi forma di speculazione, come vendere esemplari o uova, altrimenti (secondo la tradizione), porta maledizione e dannazione eterna a chi vende o si prende soldi. Ne esistono nel territorio dell’hinterland un buon numero di circa 400 esemplari, ereditati, affidati ed allevati in purezza da alcuni vecchi allevatori, e questi esemplari non hanno mai avuto problemi di consanguineità.”
(fonte tuttosullegalline.it)