Bruno Contrada, che ebbe 10 anni, con una sentenza divenuta irrevocabile il 10 maggio 2007, sconto’ gran parte della pena tra carcere e detenzione domiciliare: adesso potrebbe chiedere un maxirisarcimento per l’ingiusta detenzione
PALERMO – La condanna di Bruno Contrada e’ “ineseguibile e improduttiva di effetti penali”. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, che ha annullato senza rinvio una ordinanza della Corte d’appello di Palermo dell’11 ottobre 2016, relativa all’applicabilita’ di una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo. L’ex superpoliziotto, secondo i giudici di Strasburgo, fu condannato in Italia per concorso esterno in associazione mafiosa, in base a una “fattispecie criminosa la cui evoluzione interpretativa sarebbe stata il risultato di un controverso dibattito giurisprudenziale, consolidatosi solo successivamente ai fatti oggetto di contestazione e, quindi, la sua applicazione sarebbe stata, per l’imputato Contrada, assolutamente imprevedibile ed incerta”. Bruno Contrada, che ebbe 10 anni, con una sentenza divenuta irrevocabile il 10 maggio 2007, sconto’ gran parte della pena tra carcere e detenzione domiciliare: adesso potrebbe chiedere un maxirisarcimento per l’ingiusta detenzione.
Lo arrestarono alla vigilia di Natale del 1992, subito dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio. Il lungo incubo di Bruno Contrada comincio’ con una ordinanza di custodia cautelare in cui gli si contestava la vicinanza ai mafiosi, in particolare al boss Saro Riccobono, capo della cosca di Partanna Mondello. Reati che furono condensati nell’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa, un combinato disposto di due articoli del codice penale, il 110 sul concorso di persone e il 416 bis sull’associazione mafiosa, che aveva avuto in Giovanni Falcone uno dei precursori. I processi portati avanti contro Contrada hanno visto la condanna in primo grado, il 5 aprile del 1996, Venerdi’ Santo. Il superpoliziotto ebbe 10 anni mentre si trovava in liberta’ dopo avere avuto un malore durante la detenzione in nel carcere militare di corso Pisani, a Palermo. Successivamente la condanna di primo grado venne annullata, ma se le motivazioni della prima sentenza erano state di circa 2000 pagine, le sole 180 pagine del collegio presieduto da Gioacchino Agnello furono facilmente cancellate da una sentenza della Cassazione, che annullo’ con rinvio a una nuova corte di appello. Nel 2006 ripristino la condanna a 10 anni; particolare non indifferente, per Contrada i giudici sono sempre stati quasi in comune con il processo Andreotti: Francesco Ingargiola e Salvatore Barresi furono il presidente e il giudice a latere che ebbe in comune in tribunale con il giudizio riguardante il senatore a vita, Salvatore Scaduti fu invece il presidente sia della Corte d’Appello che emise la sentenza Andreotti, sia di quella che pronuncio’ il giudizio poi divenuto definitivo grazie a una sentenza della Cassazione del maggio 2007.
View Comments
"Per dirla con il giudice Davigo", mi correggo: è il giudice Gian Carlo Caselli a dirlo.
Ma credo che il dr. Davigo non sia in dissonanza.
Dr.Filippo Grillo
Resto perplesso. Sono un giurista, come tanti.
Mi dolgo naturalmente delle lungaggini della nostra giustizia, i cui ritardi decisionali (non discutibili quanto non discutibile è la buona fede dei giudici) lasciano nel corpo e nella mente di chi si vede prima condannato e poi dichiarato innocente "ricordi" indelebili.
Continuo a pensare che nei nostri nutritissimi codici ci siano ancora tutte le fattispecie inerenti il "tempus regit actum", vale a dire che tutte le nostre leggi- vigenti- non dovrebbero produrre distonie o interpretazioni, per dirla in parole semplici: del senno di poi in contrasto, quando addirittura in perfetta opposizione con il senno di prima.
Un buon giudice, secondo il mio sommesso parere di giurista, può decidere con i fatti alla mano, senza che dia adito a fraintendimenti. Ieri come oggi.
Per dirla con il giudice Davigo: "c'è il ladro ma anche "il palo". Figure previste nell'attuale nostro Ordinamento.
Il peggiore strazio che possa capitare a una società regolata dal DIRITTO è quello per cui il DIRITTO si possa reinterpretare a ulteriore nocumento delle vittime. In un labirinto di incertezza che fa diventare le persone tanti fascicoli, dei quali credo anche i giudici abbiano tedio e insofferenza.
Appena il caso di dire che se la Giustizia trionfa, dovrebbe farlo definitivamente.
Diversi "trionfi" dilazionati nel tempo sono un poco come i "diritti affievoliti" : ma qui entriamo nel campo amministrativo. Altra cosa.
Dr. Filippo Grillo