Le violenze erano continue, efferate, senza limiti e non davano tregua. Un contesto di brutalita’, cui nessuno sfuggiva. “In un’altra occasione – riferisce un testimone – mentre io ero intento a parlare con un ragazzo gambiano, un nigeriano, su ordine di un libico, mi ha versato della benzina addosso e poi mi hanno dato fuoco”.
E ancora: “mio fratello, al rifiuto di potersi lavare per via di un problema alla pelle, e’ stato vittima delle violenze patite da parte di un giovane africano, che ho poi rivisto all’interno di questo centro di accoglienza”. Dopo tre giorni, “a causa delle tremende ferite riportate su tutto il corpo, mio fratello e’ morto”. Era il primo novembre 2016, e alcuni membri di quella organizzazione criminale, “ragazzi africani, hanno picchiato fino alla morte almeno cinque migranti, tutti maschi. Ricordo che uno di questi e’ morto subito poiche’ e’ stato sparato, mentre gli altri quattro migranti sono stati picchiati brutalmente con il calcio dei fucili che li ha ridotti in fin di vita, morendo, a causa delle ferite riportate, dopo 2-3 giorni”.
I migranti, minacciati con i kalashnikov, erano costretti a stare all’interno di una ex base militare, a Sabratha, chiamata “Casa bianca”, in attesa di partire dalla Libia per raggiungere le coste italiane. Le indagini sono coordinate dai sostituti Gaspare Spedale, Claudio Camilleri e Renza Cescon e da Calogero Ferrara che dirige il gruppo “Tratta e immigrazione” della Procura di Palermo. Il provvedimento e’ stato eseguito a carico dei nigeriani Godwin Nnodum, 42 anni, Bright Oghiator, 28 anni, e Goodness Uzor, 24 anni, dalla Squadra mobile di Agrigento diretta da Giovanni Minardi. Le complesse indagini sono partite dalle dichiarazioni di alcuni migranti, rese all’hotspot di Lampedusa, i quali hanno riconosciuto i tre nigeriani. Numrose le testimonianze raccolte e ritenute attendibili, concordanti e puntuali. I tre nigeriani fermati sono stati condotti nel carcere di Agrigento.