Chi siamo oggi, nonostante il digitale ci abbia aperto mille finestre sul mondo? Come comunichiamo con i mezzi di informazione e i social? E cosa condividiamo? Interrogativi che rimbalzano nell’era della post-verità, dove i media tradizionali hanno smarrito l’autorevolezza ed è cresciuto il dibattito online. Nuovi scenari di grande attualità che il Fatto Nisseno ha voluto approfondire con il giornalista Bruno Mastroianni, docente di Teoria della comunicazione alla Pontificia Università della Santa Croce, dove insegna anche Media Relations e Comunicazione di crisi. È presidente del comitato scientifico di Inspiring PR, un evento che ogni anno a Venezia è un’occasione di incontro e di confronto tra comunicatori e addetti ai lavori del settore delle pubbliche relazioni. Sempre in giro per l’Italia per incontri – recentemente a Caltanissetta ha tenuto una lezione al Forum regionale delle Famiglie – attualmente lavora ai canali social della trasmissione di RaiTre “La Grande Storia”. Nel suo blog www.brunomastro.it, cura una #guidasocial sullo stare online.
Professore, nell’epoca della rivoluzione digitale giornalisti e comunicatori gestiscono un sovraccarico di notizie e informazioni da mediare. A questo si aggiungono le bufale che impazzano sui social e, spesso, ritenute attendibili da chi legge. Come si cura questa patologia? Anzi, è curabile?
È curabile a patto che ci capiamo sul termine “mediazione”. Se siamo nostalgici e pensiamo a una mediazione data, come nel passato, dai mezzi di comunicazione classici come titolari delle notizie rilevanti, non andiamo lontano. La mediazione oggi va fatta sul campo, accettando la sfida: le persone accedono alle informazioni, anche quelle infondate e false, in modo diretto e libero. È nella conversazione online che bisogna riguadagnare terreno, tutto si basa sulla credibilità e sulla competenza. Questo è il terreno su cui ogni giornalista deve giocare la partita.
Ritiene che il giornalismo di approfondimento – in un contesto da leggi (poco) e fuggi – avrà sempre meno seguaci oppure ci sarà futuro per i cronisti e i giornali che scommettono sull’informazione di qualità?
La affidabilità e la preparazione non sono affatto antitetiche alla sintesi. Anzi è proprio chi è veramente preparato che sa porgere le cose in modo semplice e immediato. Mettere in opposizione le due cose è spesso una comodità per rinunciare alla sfida. Oggi abbiamo bisogno di un giornalismo che sappia dire le cose in poche battute, senza perdere il lavoro di approfondimento che faccia da fondamento.
Come immagina il metodo di fare giornalismo tra 10 anni?
Il metodo rimane lo stesso: andare ai dati e fatti, metterli nel contesto, essere pertinenti, dare voce a testimoni ed esperti. Il tutto illuminato dal primo comandamento del giornalismo: verificare. Il metodo non cambierà mai, cambieranno sempre i linguaggi e le modalità. Il problema è proprio la mancanza di impegno verso il metodo, non la sua validità che è permanente.
Lei ha scritto che sul web serve più inventiva e meno invettiva. Facebook e i social sono villaggi globali dove – senza seguire le avvertenze – si rischia di rimanere intrappolati tra liti, generalizzazioni e condivisioni. Lei è ispiratore della riflessione #disputafelice: di cosa di tratta?
Litigare o esprimere odio è sempre una rinuncia: si smette di andare al merito delle questioni. Lo stesso problema che si ha con il politicamente corretto: si evita di confrontarsi. Oggi dobbiamo riscoprire il gusto di pensarla diversamente e argomentare sui motivi della divergenza. Da questo verrà la cura alla post-verità: quando mi sforzo di farmi capire da chi la pensa in modo diverso mi preparo meglio, penso di più alle argomentazioni, cerco di essere più attendibile e verifico di più le informazioni che ho. Il confronto è uno stimolo alla attendibilità. Senza confronto ci si accontenta.
I Webeti, per citare uno sconosciuto neologismo degli anni ‘90 e rilanciato con successo da Enrico Mentana, e il potere dell’ignoranza ci schiacceranno?
L’ignoranza non è nel web è nell’uomo, perché il web è fatto da uomini. Oggi si nota di più semplicemente perché più persone hanno diritto di parola in pubblico grazie ai social. Se ci schiaccerà o no non dipenderà dalla tecnologia ma dalle persone, che rimangono sempre libere a ogni click successivo.
Nell’era dell’iperconnessione sui social ci si innamora a distanza, qualcuno ottiene un lavoro, interagisce con gli altri oppure trova semplicemente il suo posto nel mondo. Concorda che si tratta di una realtà umana che fa parte delle nostre vite, regola le nostre emozioni e relazioni?
L’online è ormai una dimensione ordinaria in cui viviamo. E non ha alcuna separazione con l’offline. Siamo in continuità sempre gli stessi: sia che mandiamo un messaggio su WhatsApp sia che incontriamo una persona per strada. Una dimensione relazionale che abbiamo aggiunto alle nostre possibilità. Questo è il web, per questo dipende da noi come vogliamo viverlo.
Suggerisca tre regole per vivere “felici e connessi”.
Innanzitutto interpretare se stessi: cioè essere molto sinceri e “limitati”, non aver paura di presentarsi per quello che si è con i propri limiti e con i propri elementi umani. Ciò rende più interessanti. A rovinare la reputazione è la finzione, che prima o poi online si nota.
La seconda regola è avvicinarsi agli altri: a distanza le cose si vedono male, da vicino si capiscono. Entrare nel mondo degli altri, soprattuto quando hanno diverse opinioni e vengono da mondi diversi, è il modo più bello di vivere il web.
Infine, serve l’ironia: ci vuole un po’ di sano distacco. Sul web si litiga per questioni spesso molto piccine. Ridere di se stessi, saper rasserenare il clima, è spesso più importante che tenere il punto su temi francamente poco cruciali. L’ironia ridà fiato alle conversazioni sul web.
Valerio Martines incontra Bruno Mastroianni: “L’ignoranza non è nel web ma nell’uomo”
Mar, 18/04/2017 - 23:09
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