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Aldo Rapè in “Pert”: storytelling di un eroe

Michele Spena

Aldo Rapè in “Pert”: storytelling di un eroe

Gio, 30/03/2017 - 01:22

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CALTANISSETTA – Coscienze inespugnabili: Sandro Pertini rivive nella memoria teatrale di Aldo Rapè, insieme a un partigiano siciliano, che lo racconta durante tutta l’azione scenica fino all’incontro finale. È Salvatore Cacciatore, comandante di una Brigata partigiana nel Bellunese, l’alter-ego del partigiano Presidente, un dialogo fitto tra il nord e il sud dell’antifascismo che hanno costruito l’identità democratica degli italiani attraverso la lotta per la libertà, dalle carceri al confino, fino alla lotta di liberazione.
Memoria storica multimediale quella rappresentata da Aldo Rapè, con le musiche del ventennio, le canzoni, il suono ferrigno, inequivocabile delle porte delle carceri che gli si chiudono dietro le spalle e le voci autentiche dai giornali-radio, a scandire le tappe della storia nel suo svolgimento più drammatico. E i libri, che entrano ed escono dalla valigia, a segnare i percorsi di lotta, di avventura della mente e della vita: una vita spericolata, proiettata incessantemente nella dimensione di un bene comune a cui sacrificare tutto, professione, denaro, affetti familiari. Un disinteresse granitico e spontaneo, che ne farà il Presidente della Repubblica più amato di sempre, dagli italiani di ogni colore.
Una Resistenza che non finisce il 25 aprile, anzi comincia, come ricorderà a Ciro, nel loro incontro immaginario: la resistenza di una politica che lavora al bene di tutti, che disprezza gli interessi personali, che combatte la corruzione, i privilegi, le nomenklature, le caste. Resistenza oggi di drammatica attualità, drammaticamente assente.
Da solo in scena Aldo Rapè, in compagnia di tre marionette-interlocutori: Musso, Sogno e Carla, che lo aiutano, con la sua voce, a segnare gli incontri importanti che hanno segnato l’esistenza di Pertini. Il giudice del Tribunale speciale che lo condanna a 10 anni di carcere per attività sovversiva, Gramsci, conosciuto nel carcere di Turi, che gli passa il testimone di una rivoluzione pensata per costruire libertà, e Carla, la moglie-compagna che terrà stretto il suo cuore per tutta la vita, presente e discreta, sempre lontana da telecamere e riflettori.
Un siciliano che racconta la storia, come Ciro per Sandro, non poteva che usare i “pupi” per dare corpo all’immaginario: pupi della tradizione dell’”Opra” e pupi di memoria pirandelliana, mossi dall’autore che li fa narratori con la sua voce, e che li lascia in piedi, con gli occhi illuminati, quando la scena si svuota e Pertini esce dalla vita o entra nella Storia, sempre seguendo una luce. Lasciando sulla scena una stella bianca, che è uscita dalla sua valigia e ha resistito ai venti e ai colpi della storia: Stella come il suo paese natale ma anche la stella simbolo dell’Italia, stemma della Repubblica che dalla Resistenza nascerà.
È importante questo corto-circuito della storia su cui Rapè costruisce la sua azione drammatica: nella realtà Ciro muore, nel marzo del 1945, a 25 anni, torturato e poi ucciso dai nazisti sulla piazza di Belluno, dopo aver resistito alle sevizie senza rivelare i nomi dei compagni e i piani di guerriglia dei partigiani. Sandro invece vive, diventa dirigente del Comitato di Liberazione Nazionale, deputato, Presidente della Camera, Presidente della Repubblica.
Ma è l’intreccio del sacrificio per la libertà che attraversa la vita di tutto un popolo, che Ciro rappresenta, a consentire e a costruire l’Italia democratica che potrà riconoscersi, trent’anni dopo, in un Presidente-partigiano. E Ciro, Salvatore Cacciatore, era un siciliano, studente universitario, nato ad Aragona ma nisseno di adozione, perché a Caltanissetta la sua famiglia si era stabilita già prima della guerra e qui hanno vissuto suo padre i suoi fratelli.
L’omaggio di Aldo Rapè a questa storia grande ma costruita dal basso, col sacrificio di tanti che non hanno combattuto per la gloria ma per la libertà di tutti, per questo è ancora più significativo e impegnativo per l’oggi. Anche nella nostra città.
Il suo protagonista, mentre racconta, inciampa spesso nei vuoti di memoria: sia perché è difficile ricordare, rivivere il dolore, sia perché oggi la memoria perduta è la condizione più comune dell’indifferenza sociale, la strada facile per fuggire dalle responsabilità che la memoria ci consegna, insistendo, implacabile.
Saranno gli occhi con le luci accese dei pupi, rimasti sulla scena quando si spengono i riflettori, a ricordare che non è stato un sogno quello di Ciro e neppure la vita di Sandro: sono stati entrambi la Storia, che ci hanno consegnato, per continuare.

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