E’ morto Antonino Buttitta, studioso e docente di Antropologia culturale e Semiotica. Aveva 83 anni, orogogliosamente siciliano di Bagheria, descritta come “faro di luce e di civilta’ nel mondo”, come Renato Guttuso. Figlio del poeta dialettale Ignazio Buttitta. Nel nome del padre creo’ la fondazione per “la tutela, lo studio e lo sviluppo della cultura siciliana in tutti i suoi aspetti”. Energico uomo di cultura, accademico e a lungo preside della Facolta’ di Lettere di Palermo; politico tenace del Psi di Bettino Craxi, di cui e’ stato segretario regionale nei ruggenti anni Ottanta, oppositore di Leoluca Orlando, parlamentare nazionale alla Camera nella nona legislatura, apertasi nell’aprile 1992, anno tragico delle stragi. Una vita segnata dal padre e dalla cultura, certamente. La villa di Aspra, rifugio accogliente di famiglia, era un porto di mare: “Io non ricordo mai mio padre solo, c’era sempre gente. Si mangiava, si beveva e si recitavano poesie. Questa era la casa di Aspra. Cosa che, a volte, faceva molto arrabbiare mia madre. A casa di mio padre era familiare la presenza di Renato Guttuso, vi si radunavano artisti destinati a diventare famosi come Cagli, Migneco, Treccani, il cileno Sebastian Matta, pittori che aveva conosciuto a Milano. Era un luogo di riferimento dell’intellighentia di sinistra, che era allora di moda ed egemone nei costumi culturali”. Sulla terrazza di Aspra ha conosciuto Alberto Bevilacqua, Mario Soldati, Elio Vittorini, Enzo Siciliano e numerosi altri, “ma, a dir la verita’, pur nel rispetto della loro fama – sosteneva – l’impressione che ricavavo da loro non era del tutto positiva. Intravedevo una certa finzione, una certa teatralita’. Mi parevano non del tutto autentici”. Del resto ammetteva: “Non e’ vero che a sinistra ci sono tutti i buoni, gli onesti e gli intelligenti e a destra gli altri”. Come siciliano viveva il paradosso che alimenta un’Isola rappresentata come l’intreccio di opposte attitudini: “E’ il feudo desolato e senza tempo ed e’ il ritmo pulsante di vita dei giardini, e’ la violenza omicida per la ‘roba’ ed e’ la generosita’ esibita fino allo spreco, la fedelta’ senza tentennamenti al proprio mondo in parallelo alla disponibilita’ ad assumere modelli da altre culture”. Una visione mitica, in ordine alla quale non sembra Buttitta nutrisse illusioni: “E’ la Sicilia pirandelliana dell”uno, nessuno, centomila’, ma anche quella gattopardiana del ‘noi siamo dei'”.
Il mito di una Sicilia e dei siciliani che riescono a essere tutto questo e altro ancora, pur nelle sue evidenti contraddizioni, conseguenza di alcune costanti della loro storia con le loro reali diversita’. L’essere al centro di un’area, spiegava Nino Buttitta, “che e’ stata uno dei fondamentali poli di formazione e sviluppo della civilta’, con le molteplicita’ di culture che per conseguenza ne hanno scandito le vicende storiche, hanno fatto della Sicilia l’isola del mondo”. Nessun luogo forse ha visto tanti popoli e culture tanto diverse. Cio’ che ha caratterizzato il corso delle vicende storiche dell’isola, e che di fatto ne ha tessuto la complessa identita’, “e’ anche il fatto che parallelamente a esso, in ampi ambiti, si sono venuti manifestando consistenti fenomeni di permanenza. Piu’ che di una storia evolutiva il caso siciliano e’ quello di una storia cumulativa”. Da qui una realta’ fortemente stratificata e articolata tanto economicamente quanto socialmente e culturalmente, “dove il rischio dello scontro e della discrasia e’ stato evitato dall’accettazione della diversita'”. E’ significativa per Buttitta “l’inesistenza di episodi di razzismo, in coerenza con una tradizione, che fin dal Medio Evo, con disprezzo oggi nobilitante, faceva chiamare l’isola: ‘terra senza Crociati'”. L’immagine che i siciliani danno della Sicilia e’ mitica “proprio perche’ riduce a unita’ realta’ contrapposte che in quella immagine riescono a coesistere: in un equilibrio in cui risultano cancellate ogni diversita’ temporale e ogni dialettica”. Non a caso, come scrisse per Treccani, il simbolo della Sicilia e’ la trinacria: derivazione antica del segno della ruota, come la svastica del resto, che i primi gruppi indoeuropei assunsero come loro simbolo in analogia con il corso del Sole. “Non diversamente da come in apparenza il Sole si muove, la ruota ha un movimento circolare” e per Buttitta possiede tutti gli elementi concreti per rappresentare l’immagine mitica della Sicilia: e’ il cerchio ruotante, e’ l’asse che rimane sempre immobile. La trinacria nella quale i raggi del cerchio si sono trasformati in gambe e il mozzo dell’asse in testa”. La Sicilia, ‘terra del sole’ puo’ riconoscersi in un simbolo solare. I siciliani che, “come Ulisse, di molte genti hanno visto le citta’ e conosciuto i costumi, legittimamente forse si riconoscono in un simbolo in cui mentre le gambe, il movimento, rappresentano l’apparente divenire, la testa (il pensiero) rinvia a un piu’ realistico essere”. Tra ambizioni e tradimenti