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Riflessioni di Giuseppe Curreri. Il testamento di Bernardo Caprotti: tutela della legittima, libertà del testatore e passaggio generazionale d’impresa

Redazione

Riflessioni di Giuseppe Curreri. Il testamento di Bernardo Caprotti: tutela della legittima, libertà del testatore e passaggio generazionale d’impresa

Mer, 04/01/2017 - 17:24

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La morte di Bernardo Caprotti, 91 anni, patron di Esselunga, lascia un vuoto di prestigio nel capitalismo italiano. Oltre 152 punti vendita, più di 22 mila dipendenti, un fatturato che supera i 7,3 miliardi di euro e il più alto indice di vendite per metro quadrato, 16.500 euro, quasi il doppio della media del settore che si attesta a 8.500 euro.

L’azienda è valutata oggi da 5 a 6 miliardi di euro per la sola parte commerciale, cui bisogna aggiungere 1,5 miliardi di euro per la parte immobiliare.

Questi i numeri del gigante creato da Bernardo Caprotti in una vita di lavoro: un vero gioiello dell’imprenditoria italiana. Difficile gestirlo meglio. Per gli addetti ai lavori e per i concorrenti, Esselunga non è solo un supermercato, ma un modello di impresa.

Personaggio istrionico ed indomabile, intelligente ed umile, attento innovatore: grande fiuto imprenditoriale e inarrivabile attenzione alle risorse umane, vero fulcro di ogni storia imprenditoriale di successo.

Per capire chi era Bernardo Caprotti, basta andare sulla pagina facebook di Esselunga e pescare a caso tra i commenti spontanei dei dipendenti che si accalcano sotto il gelido post aziendale che, il 30 settembre 2016, annuncia la dipartita del fondatore: “Caro dottore  – scrive Valentina N.M. – sono onorata di far parte della tua azienda, ho avuto l’occasione di vederti di persona in negozio, sei un uomo umile e mai spavaldo, nonostante la tua importanza anche mentre facevi la spesa eri rispettoso del nostro lavoro, cercavi di non farti mai notare con quel soprabito beige e il cappellino, mettevi a posto il cestino arrivando fino all’ingresso della frutta e verdura. Posso dirti solo che ci mancherà non vederti passeggiare nelle tue amate Esselunga, salutarci e preoccuparti del nostro futuro. Grazie piccolo ma grande uomo di permettermi di lavorare, grazie per tutte le parole belle che ci hai scritto nelle occasioni, grazie per come apprezzavi il nostro lavoro, grazie di aver costruito un’azienda così unica in tutto e leader in Italia, apprezzata e stimata in tutto il mondo, grazie di essere il fondatore del mio futuro. Arrivederci mio caro dottore.

Il testamento lasciato da Caprotti è come lui: sincero, determinato, riconoscente, responsabile, elegante e, al contempo, fermo e risoluto, senza fronzoli.

Tredici pagine, dettate al Notaio Carlo Marchetti di Milano il 9 ottobre 2014,  dispongono in modo apparentemente semplice di un patrimonio complesso ed immenso, con precise attribuzioni a favore di eredi e legatari.

Caprotti non perde l’occasione per togliersi anche qualche sassolino dalla scarpa: ha l’ultima possibilità di esprimersi e lo fa senza giri di parole.

Nella prima parte l’elenco delle donazioni, dirette o indirette, fatte in vita ai figli di primo letto Giuseppe e Violetta, alla moglie Giuliana e alla figlia di secondo letto Marina: svariati appartamenti, ville, case, un castello e  8 milioni di “contributo” per l’acquisto della casa a Londra della figlia Marina, oltre mobili di pregio, opere d’arte e volumi.

“Non mi attarderei ulteriormente su cose passate – irrompe Caprotti ad un certo punto del testamento – data l’entità di quanto sto qui disponendo”.

Qui iniziala parte dispositiva, preceduta da un’amara considerazione sulla nota vicenda dell’aspro contenzioso intentato negli anni scorsi dai due figli di primo letto contro il padre per strappargli le partecipazioni sociali delle aziende che lui stesso aveva donato loro con vincolo fiduciario a favore del donante:“dopo anni di battaglie legali e di pubbliche maldicenze da parte di Violetta e di Giuseppe, ho destinato e destino le mie partecipazioni nelle due aziende che ho creato e che mi appartengono, in modo tale da dare continuità e tranquillità alle imprese, salvaguardando però i diritti di tutti i miei aventi causa, secondo la legge”.

Sta tutta qui la chiave per interpretare le sue volontà testamentarie: Caprotti, raffinato e caparbio capitano d’impresa di lungo corso, sa bene che le aziende vivono di vita propria e, soprattutto, che sono destinate a sopravvivere al loro fondatore; consapevole come pochi della funzione sociale dell’impresa, ha come primo obiettivo proprio quello di garantirne “continuità e tranquillità” salvaguardando, però, i diritti che la legge riserva ai legittimari. Dispone pertanto che il 70% delle azioni della società operativa Supermarkets italiani Spa vada alla moglie Giuliana e alla figlia Marina, lasciando solo il 30 % ai figli Giuseppe e Violetta; quanto alla Villata Partecipazioni Spa, questi ultimi ricevono il 45% delle azioni, mentre il 55% va ancora una volta a Giuliana e Marina.

In questo modo Caprotti assicura il controllo dell’intera azienda nelle mani della sua ‘seconda famiglia’ e salvaguarda i diritti riservati dalle legge ai figli (anche ai due protagonisti della dura battaglia legale).

Il nostro ordinamento giuridico non lascia il testatore libero di disporre come creda delle sue sostanze: se vi sono tra gli eredi dei legittimari (coniuge, figli o nipoti exfilio o loro discendenti, e genitori solo in assenza di figli),a costoro la legge riserva una quota minima di eredità, anche contro la volontà del defunto. Si parla al riguardo di successione necessaria.

Accanto alla quota di riserva, per contro, trova spazio la c.d. quota disponibile,ossia la quota di cui il testatore può liberamente disporre, a favore di chiunque, senza ledere la parte riservata ai legittimari.

Il nostro diritto successorio accoglie il principio della mobilità della quota di riserva: in altre parole la legittima varia quantitativamente al variare del numero e della tipologia di legittimari, nonché del concorso tra gli stessi.

Quando manca il coniuge la riserva a favore del figlio è pari ametà del patrimonio e a 2/3se vi sono più figli. In mancanza di figli, anche al coniuge è riservata la metà del patrimonio; se concorre con un figlio, gli è riservato 1/3 del patrimonio e 1/3è riservato al figlio.Se concorre con più figli la sua riserva si riduce ad 1/4, mentre la metà è riservata ai figli in parti uguali: il rimanente quarto costituisce quota disponibile.La riserva a favore degli ascendenti varia invece da1/3 a 1/4 e viene annullata in presenza di figli. Se c’è almeno un figlio, quindi, il genitore esce dalla schiera dei legittimari. I fratelli e le sorelle del testatore, invece, non sono mai legittimari: possono essere quindi esclusi dalla successione senza temere impugnative (ma ereditano sempre in assenza di figli, salvo appunto che li si escluda con testamento).

È intuitivo come il nostro sistema successorio possa confliggere con le ragioni dell’impresa. L’imprenditore, per garantire la continuità aziendale, deve riuscire a trasferire il controllo dell’azienda al discendente ritenuto più capace, conciliando tale interesse con quello alla soddisfazione dei diritti di legittima spettanti ai discendenti non assegnatari dell’azienda. A volte chi può condurre bene l’azienda non è nemmeno tra i figli, ed il padre deve essere in grado di prenderne atto.

La cura di questo dettaglio risponde all’interesse, anche e soprattutto generale, di preservare la continuità dell’impresa nei passaggi generazionali: questo interesse non va sempre di pari passo con la tutela dei legittimari.

Le residue attribuzioni testamentarie di Caprotti sono cronaca dei nostri giorni: due milioni di euro al ragioniere di una vita, la metà del conto corrente bancario e del dossier titoli  (pari a 75 milioni di euro circa) alla fidata collaboratrice Germana Chiodi “alla quale – scrive Caprotti – voglio esprimere la mia immensa gratitudine per lo straordinario aiuto che mi ha prestato nel corso degli anni”; la rimanente metà ai nipoti in parti uguali; l’Olio di Manet ‘La vergine col coniglio bianco’ al Louvre di Parigi in quanto una precedente donazione alla Pinacoteca Ambrosiana di un dipinto di scuola leonardesca è stata oggetto di “dileggio” da parte di studiosi ed esperti della stessa, di cui fa anche i nomi.

Nella parte finale riemerge il lato umano e la profonda amarezza per gli insanabili dissidi familiari: “non sono stato molto premiato per quanto ho fatto, o cercato di fare, a favore di Giuseppe e di Violetta… Famiglia non ci sarà. Ma almeno non ci saranno le lotte. O saranno inutili, le aziende non saranno dilaniate.”

Il grande capitano d’impresa, dopo aver messo al sicuro i destini di decine di migliaia di persone che sente dipendere dalle sue scelte, si arrende di fronte all’evidenza del fallimento nei rapporti familiari. Una vita di successi, ma il dolore per la situazione familiare, mai risolta, pervade l’intero testamento, fino a diventarne la nota dominante e la chiave di lettura.

Il Pil misura tuttodisse in un celebre discorso Bob Kennedytranne ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”.

E se leggi il testamento tutto d’un fiato, quella amarezza ti resta dentro per un po’ e capisci che è proprio così.

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