Leandro Janni, “ai nisseni che crescono”: una riflessione sulla città, la politica, l’architettura

CALTANISSETTA – RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO. Scrive Maurizio Carta (urbanista, presidente della Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Palermo) a proposito della recente scomparsa di Leonardo Benevolo: “Addio a Leonardo Benevolo, un grande maestro dell’urbanistica, dell’architettura e della storia delle città. È stato uno degli autori del Ppe per il centro storico di Palermo e i suoi libri hanno formato generazioni di urbanisti. Negli anni Settanta ha insegnato alla Facoltà di Architettura di Palermo, docente straordinario e uomo colto, sensibile e capace di sentire la storia della città prima di progettarne il futuro.” Colpiscono, delle parole di Maurizio Carta, soprattutto le ultime: “… sensibile e capace di sentire la storia della città prima di progettarne il futuro.” Dico questo in relazione al concitato dibattito, in corso, a proposito dell’intervento progettuale che ha cambiato radicalmente il volto di salita Matteotti, a Caltanissetta. Ma facciamo un passo indietro.

Negli anni 2008/2009, il concorso di  progettazione La Grande Piazza ha costituito un’occasione importante per la Città. Importante, prioritariamente, dal punto di vista culturale. Il concorso, infatti, pur tra ambiguità e contraddizioni, è stata una preziosa opportunità di riflessione, studio e intervento avente per oggetto quegli spazi di relazione, altamente simbolici e rappresentativi, attorno ai quali si sviluppa l’intero centro storico, la città tutta: Piazza Garibaldi, Corso Umberto I, Salita Matteotti, gli spazi antistanti il Palazzo dei Principi Moncada. Insomma: una sorta di riappropriazione del centro, del cuore della città, dopo lunghi anni di dequalificante dispersione centrifuga. Un’occasione straordinaria per riflettere sulla qualità e la bellezza, sul conservare e l’innovare. Un concorso di progettazione nel corso del quale anche i cittadini hanno potuto esprimersi, avanzare idee, proposte. Le diverse ipotesi progettuali, le soluzioni elaborate dai tecnici hanno indiscutibilmente nutrito, alimentato l’immaginario collettivo. Il confronto con altre realtà, altre esperienze ha inoltre rappresentato una positiva, “terapeutica” occasione di apertura e di dialogo, di crescita. Il 13 marzo 2009, la Commissione giudicatrice del concorso ha ritenuto il progetto di architettura conosciuto con il motto “Walking on the ribbon” il migliore. L’investimento iniziale previsto per la realizzazione del progetto era stimato attorno ai 2.888.413,88 euro. Per il team vincitore era previsto un premio di 20.000 euro. E ovviamente la direzione dei lavori.

Ad ogni modo, ambiguo e contraddittorio, persino sconcertante fu il ruolo esercitato dalla Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali di Caltanissetta: l’ente preposto alla tutela del nostro patrimonio culturale non spese una parola a favore della salvaguardia di due importanti simboli storico-artistici quali la Fontana del Tritone e il monumento a Umberto I, per i quali i partecipanti al concorso di progettazione avevano disinvoltamente previsto nuove collocazioni. Un atteggiamento inspiegabile, ingiustificabile. Grave. Un atteggiamento di inconsapevole negazione del ruolo, dei compiti istituzionali della stessa Soprintendenza. Figuriamoci se essa fu capace di spendere una parola a difesa dello storico edificio di via Largo Barile, prospiciente l’omonima piazzetta e in prossimità di Palazzo Moncada. Edificio che, sebbene in discreto stato di conservazione, è ora prossimo alla demolizione. Demolizione che, come sappiamo, è stata rinviata a causa delle consuete complicanze tecniche e burocratiche generate dagli uffici di Palazzo del Carmine. Di certo la demolizione dell’edificio costituirebbe un’azione non accettabile, sia sotto il profilo normativo sia sotto il profilo culturale. E comunque lo sventramento di interi palazzi non è conforme alla cultura della conservazione e della valorizzazione del patrimonio storico-artistico nazionale e regionale. Pertanto Italia Nostra propone un rigoroso intervento di restauro architettonico che preveda comunque  lo smantellamento di quelle superfetazioni che nel tempo ne hanno alterato la forma, la struttura originaria. Dal punto di vista funzionale potrebbe essere destinato a spazio contenente atelier e alloggi per artisti.

Il concorso di progettazione La Grande Piazza (che ha avuto costi non irrilevanti) avrebbe potuto rappresentare una svolta per la Città. Ma così non è stato. Negli anni successivi al concorso, infatti, il Comune di Caltanissetta ha messo da parte il progetto vincitore e ha riprogettato i luoghi e gli spazi della Grande Piazza utilizzando i suoi tecnici, con questi risultati: procedure burocratiche assai controverse; tempi e modalità di realizzazione insostenibili; costi notevolissimi. Dal punto di vista tecnico, invece: evidenti incertezze nel leggere e interpretare il contesto, le preesistenze; difficoltà a legare, a connettere i diversi elementi in gioco in modo armonico, equilibrato; inadeguatezza strutturale, funzionale e simbolica dei materiali utilizzati; problemi a padroneggiare il linguaggio architettonico moderno, contemporaneo; disomogeneità dei diversi interventi progettuali. Emblematico, a tal proposito, anche il cosiddetto progetto “pilota” per la Provvidenza. Dunque: interventi sbagliati, impropri o addirittura inutili. Indebolimento degli elementi simbolici e rappresentativi della Città. Indebolimento della sua immagine pubblica. D’altronde, l’architettura e l’urbanistica sono sempre il frutto, il prodotto di una società.

Anni, risorse, occasioni perdute. Di certo c’è tanta strada da percorrere, ancora, affinché si inverta la tendenza che, dagli anni Cinquanta ad oggi, ha fatto e continua a fare di Caltanissetta un “bene” – per pochi – su cui speculare, e si affermi un’autentica coscienza del bene comune. Per realizzare questo cambiamento occorrerebbe una borghesia sana, capace di spendersi, di impegnarsi pubblicamente. Occorrerebbe una nuova classe dirigente. Avremmo bisogno di giovani preparati e motivati. Finalmente valorizzati. Bisognerebbe pensare, sviluppare e applicare nuovi modelli. Una città quale bene comune richiede una “visione nuova”, quella che gran parte del pensiero contemporaneo – ecologico, sistemico, organicistico, olistico – auspica, promuove. Viviamo in una tale stretta interdipendenza tra persone, cose, spazi, risorse, ambienti, che risulta inconcepibile qualsiasi idea di separazione tra tutti i sistemi a cui apparteniamo. Non ultimo la città. Il nostro benessere personale, la nostra sopravvivenza è fortemente legata al benessere del territorio in cui abitiamo. In definitiva la città nel suo complesso non è “altro” da noi. Per questo sono necessarie responsabilità e azione, partecipazione collettiva, regole da rispettare e da far rispettare, competenza, progettualità. Sostenibilità. Sensibilità e passione per la bellezza.

E’ troppo? No: la globalizzazione, la competizione tra le diverse aree del Paese, della Regione, la persistente crisi ci costringono, inesorabilmente, a non accontentarci dell’esistente, ad andare avanti: all’insegna di nuove qualità, di nuovi standard, di nuovi orizzonti. Creativamente, rispettando e valorizzando la nostra storia. Valorizzando, reinterpretando il patrimonio culturale che abbiamo ereditato. Leonardo Sciascia ha scritto: “La Sicilia è difficile. C’è chi crede che questa terra possa crescere e diventare moderna, civile ed economicamente evoluta senza perdere però le sue suggestioni, il suo fascino, la sua cultura. C’è chi lavora perché ciò accada. …dedicato a loro. Ai siciliani che crescono.” Già: qui forse potremmo anche dire “Ai nisseni che crescono”.

Distinti saluti, Leandro Janni

Presidente regionale di Italia Nostra Sicilia

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