Oggi si sente sempre meno qualcuno che ringrazia. Nessuno ringrazia più se non falsamente.
Non ringraziano i bambini, non ringraziano gli adulti, non ringraziano nemmeno gli anziani.
Certo può accadere che qualcuno occasionalmente sia riconoscente, ma di solito avviene in conseguenza di uno straordinario coinvolgimento emotivo, quando il “grazie” scaturisce d‘impulso e non come espressione ponderata e segno di buona educazione.
Senza accorgercene nel cambiamento del nostro è stato eliminato il ringraziamento.
Abbiamo perso nostre eleganti e galanti espressioni, abbiamo perso tante altre delicatezze e sfumature, ma la scomparsa della gratitudine è particolarmente ricca di significato e molto triste.
Stiamo smarrendo il valore delle parole, il loro peso concreto nella vita di tutti giorni, il loro riflesso sul nostro umore, sulla nostra visione delle cose.
La comunicazione del nostro tempo è compulsiva e si coniuga con l’immediatezza che colpisce l’immaginazione prima che la mente sappia trasformarla in pensiero dotato di senso compiuto. Se qualcuno vi rovescia involontariamente una tazza di caffè sul vestito qual è la reazione immediata? Sviluppa forse una frase articolata? O piuttosto l’espressione è colorita e peraltro diretta?
Andiamo in pratica alla velocità del computer.
La progressiva involuzione delle parole affianca il declino dei nostri modelli, delle nostre idee, dei nostri valori che alla fine coinvolge anche la gratitudine.
La mercificazione di ogni cosa, il primato dei numeri e della quantità rispetto alla qualità, fanno tutti parte di una precisa cultura che svaluta la comunicazione verbale.
Non c’è più spazio temporale per i contenuti; perfino la riconoscenza, la gratificazione e la gratitudine non trovano più stanza.
Ma oltre allo spazio temporale oggi è l’utilitarismo e il vantaggio che governano le nostre vite e i nostri comportamenti con evidenti e chiare cadute sulla comunicazione.
Se tutto si offre e si prende sulla base di relazioni economiche, dove anche i sentimenti, l’amore, le emozioni, valgono in funzione del loro valore di scambio, la gratitudine sembra diventare inutile.
Dove tutto ha un costo, ringraziare diviene sintomo di debolezza.
Ma il costo della rimozione della gratitudine è incalcolabile in termini umani e spirituali.
Dire grazie è etimologicamente si avvicina alla grazia, quella personale, quella che è dentro di noi. Il ringraziamento cosa è se non un atto di coscienza?
Al catechismo ci hanno insegnato che al centro della cristianità e del cristianesimo c’è l’Eucarestia che è sinonimo di ringraziamento.
Ma ci pensate che le cose più belle e sublimi, sentimentali avvengono gratis? E senza alcuna aspettativa di tornaconto?
Certo non spingiamoci sul piano dell’economia dove sono importanti le quantità, le merci di scambio, il guadagno; ma la vita di tutti i giorni con i sorrisi, la gentilezza, la grazia (ecco che torna!) rendono felici, gratificano e danno un senso al nostro vivere. E giusto queste cose non si pagano e non rientrano nei canoni di chi corre veloce, non pensa che all’utile e non comprende più ormai il senso della gratitudine.
Ciò che rende la nostra vita degna di essere vissuta non ha un controvalore economico.
E’ stato gratuito l’amore che abbiamo ricevuto dai nostri genitori e che solo un amore di padre e di madre potrà poi comprendere nell’età adulta.
E’ stato gratuito lo sforzo che il genere umano ha fatto dalla preistoria ad ora, quello dei martiri in una guerra o in nome di un credo o della scienza.
Un mondo che non abbiamo alcun diritto di maledire in nome delle nostre illusioni, della nostra vanità e della nostra avidità.
E ora che ci penso è stata totalmente gratuita anche l’azione amorevole di Dio che spesso non ci meritiamo.
Michele Spena