Negli Stati Uniti, negli ultimi dieci anni, le diagnosi di disturbo narcisistico della personalità sono aumentate di circa il 7 per cento, cresciute in proporzione quanto quelle di obesità. Sarà colpa dei social network, che ci forniscono nuovi e facili opportunità di metterci in vetrina? Se l’è chiesto di recente il Guardian, se lo chiedono sempre di più gli psicologi, che hanno moltiplicato le ricerche sul tema. Di narcisismo non si muore, per fortuna. Però un po’ si soffre, e molto danno il narcisista fa alle persone a lui vicine.
Ogni giorno, più di 1,4 miliardi di persone pubblica dettagli della sua vita su Facebook e sono 3,5 miliardi i nuovi “like”, mentre le foto caricate su Instagram son più di 80 milioni. Su Twitter gli utenti attivi sono 320 milioni. Il quarto d’ora di celebrità teorizzato da Andy Warhol è ormai un quartino di celebrità a flusso continuo, ma per tutti. Se c’è chi si limita a un post ogni tanto, c’è chi sui social vive anche di notte, chi si sveglia per controllare se ha un follower o un like in più. E chi non si riaddormenta se la sua foto su Instagram non sta avendo il successo che si aspettava.
«Il narcisismo ha due livelli. Il primo, sano, è l’amore per stessi, che è una componente fisiologica: un po’ d’amor proprio fa bene», spiega il professor Paolo Crepet, psicoterapeuta, psichiatra, autore di 16 libri e presto di un diciassettesimo, per Mondadori, La Trappola, dedicato proprio agli effetti collaterali della tecnologia digitale. «Al secondo livello, si sconfina nell’eccesso: il narciso patologico crede che il mondo giri intorno a lui, ha un bisogno abnorme di affermazione, apprezzamento, attenzioni, accudimento. I narcisi sono così attaccati a se stessi che perdono di vista l’altro, e il confronto con gli altri è invece essenziale e salutare. Parliamo invece di persone altere, che si sentono superiori agli altri, visti solo in funzione dell’ammirazione, dell’affetto, dell’amore e dell’accudimento che possono loro tributare, e di cui i narcisisti non sono mai sazi». Questi “bulimici dell’attenzione altrui” hanno trovato il loro habitat ideale sui social network: «I narcisi sono sempre esistiti, ma finché non sono stati inventati i selfie, avevano poche occasioni di dare dimostrazione di sé», sintetizza Crepet.
SUPERFICIALI PER DEFINIZIONE
Facebook, Twitter, Instagram funzionano da moltiplicatori del loro desiderio di essere al centro dell’attenzione. Soprattutto perché agiscono principalmente sull’immagine e i narcisisti sono più preoccupati di come appaiono che di cosa sentono. «I narcisi sono spesso superficiali», spiega Crepet, «oggi i due termini sono usati quasi come sinonimi, sebbene esistano narcisi geniali, come lo era Alberto Moravia. Tuttavia, il narciso è attento più all’aspetto che al talento e le nuove tecnologie digitali sono perfette per mettere in evidenza il non-talento. Queste tecnologie diventano la costante quotidiana dei narcisi senza talento che si fanno bastare la soddisfazione di far vedere dove sono, con chi, come sono vestiti, cosa stanno mangiando, quanti muscoli hanno».
PRIMO: FARSI VEDERE
Il primo comandamento dei narcisi è “farsi vedere”. «Narciso, nella mitologia, si specchia nell’acqua beandosi di se stesso, e per i narcisi la visibilità viene prima dell’ammirazione, precede il giudizio di valore altrui. Farsi vedere è più importante che piacere, e il narciso è felice anche quando divide». I social network moltiplicano le occasioni per dare mostra di sé. Un tempo, per essere visto, il narciso doveva accontentarsi della passeggiata in centro, della festa, dell’evento, ma sui social l’evento è continuo, il flusso di immagini è continuo. «Esserci è la droga del narciso. Si nota benissimo in politica, dove su Twitter, i politici tendono a esprimersi su qualunque fatto di attualità: non è importante ciò che dicono, ma essere presenti. Anche se – il più delle volte – superficialmente».
SECONDO: PIACERE
Il bisogno di essere ammirati arriva dopo quello di esserci e di farsi vedere. «I social network hanno affermato la visibilità come misura del valore», spiega Crepet, «sono il contrario di J.D. Salinger che scompare, si ritira dalla vita pubblica, ma permane. Avere un riscontro, un feedback, un like, molti followers diventa una dipendenza». Se vi trovate di fronte una persona che più volte al giorno vi comunica quanti follower ha, piuttosto che sulle statistiche di gradimento delle sue foto e dei suoi post, una persona che va in crisi se se lo stanno filando tre amici in meno di ieri, bisogna iniziare a sospettare un disturbo. Vi potrebbe capitare d’incontrare qualcuno che non solo sa quanti follower ha lui, ma può stilarvi la classifica dei suoi conoscenti e discutere per ore di quanto siano immeritati i loro e meritatissimi i suoi, di come lui li abbia guadagnati più in fretta e con meno post eccetera. Nel caso, sappiate che l’attitudine narcisistica c’è.
SE SEI SEMPRE CONNESSO, LA PATOLOGIA C’È
«Il primo segnale che siamo nel campo di un disturbo della personalità narcisistica è la quantità di tempo passata sui social network», dice Crepet. Il sito waresocial.net ha pubblicato nel 2015 una ricerca secondo la quale gli italiani passano sui social due ore e mezzo al giorno. Un’enormità. Ma è come la storia del mezzo pollo di media… «C’è chi ci sta 10 minuti e chi anche di notte», osserva Crepet. «La dipendenza è tale che c’è chi resta connesso di notte e si sveglia appositamente per controllare se i suoi post stanno avendo successo». In questo caso siamo nella patologia. Altri segnali? «Se uno si chiude al bagno non per leggere Calvino ma per stare su Facebook bisogna preoccuparsi. Idem se chatta anche al ristorante o al cinema».
QUELLA FOTO NEL PROFILO INSOSPETTISCE
Il secondo indicatore è quello che si posta sui social. Avverte Crepet: «Il discrimine sta anche nell’età: una sedicenne può cambiare una volta al giorno la foto del profilo di Whats App, ma se qualcuno lo fa dopo i vent’anni ha un problema». Le immagini dicono molto di una personalità narcisistica. Se posti solo foto in stile top model, pure non essendo una top model, o un top model, qualcosa non va. Spiega Crepet: «La foto del profilo è particolarmente significativa: una donna che usa l’immagine di un tacco a spillo sta comunicando un’immagine di sé narcisistica, perché vuole farsi notare, vuole far parlare di sé. Le foto del profilo sono il nuovo biglietto da visita. Sono sintomatiche tutte le foto in cui ci addobba in modo diverso da come si è: foto che sono un’esteriorizzazione del sé, in mancanza del sé».
VITA SOLO VIRTUALE?
LA DIAGNOSI È CERTA
«La discriminante per capire se c’è un disturbo serio della personalità da narcisismo», spiega Crepet, «è se non hai una seconda vita, se vivi principalmente rapporti virtuali. Da psichiatra, io spero che ognuno possa vivere senza telefonino». Non avere un’altra chance al di fuori dei social network è l’ultimo stadio del disturbo, il più grave per il soggetto. Subito prima, il narciso fa danno soprattutto alle persone che gli sono vicine. «La vita del suo partner può essere un inferno perché il narciso vuole piacere a tutti. Non si occupa del partner, non lo ascolta, non si accorge se sta bene o male». Per non trovarsi in una situazione simile, l’unica è spiare per tempo i suoi social. E scappare.