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Italia, lavoro: studio Cgil, da 2007 a 2015 -5% occupati

Redazione

Italia, lavoro: studio Cgil, da 2007 a 2015 -5% occupati

Dom, 09/10/2016 - 09:59

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puglia-a-12mila-disoccupati-500-euro-al-mese-dal-16-marzo-online-la-piattaformaROMA – Fatto 100 l’indice degli occupati in Italia nel 2007, nel 2015 lo stesso indice si ferma a quota 95 (-5%). Le cose vanno un po’ meglio rispetto al 2013 quando l’indice segnava quota 94,4 (-5,6%, pari a 1,395 milioni di occupati in meno). Lo rende noto lo studio della Fondazione Di Vittorio-Cgil su ‘Lavoro e capitale negli anni della crisi’. 
Non tutti i Paesi europei hanno meno occupati rispetto al 2007. Fatto 100 l’indice degli occupati nel 2007, la Germania raggiunge nel 2015 quota 106,7, la Francia quota 101,4. La Spagna va peggio dell’Italia e si ferma a quota 87,1. La media dell’Eurozona nel 2015 e’ a quota 98,6. 
Il peso degli occupati in Italia sul totale occupati nella zona Euro e’ rimasto pressoche’ stabile (intorno al 16,3%) fino al 2012, per ridursi nel 2013 al 15,9% e flettere ancora leggermente nel 2014 e 2015. 
I dati del Pil sono ancora meno confortanti per l’Italia. Fatto 100 l’indice del Pil nel 2007, l’Italia nel 2015 si ferma a quota 91,7. La Germania e’ a quota 107,1, la Francia a quota 103,4, la Spagna a quota 96,7 e l’Eurozona a quota 100,8. Sul Pil nel periodo 2008-2014 solo Grecia e Croazia hanno avuto in Europa una perdita maggiore dell’Italia. 
Male anche la spesa per consumi finali privati. Fatto 100 l’indice del 2007, la Germania nel 2015 e’ a quota 107,1, la Francia a quota 105,3, l’Eurozona a quota 100,5, l’Italia a quota 93,7 e la Spagna a quota 91,4.

La Fondazione Di Vittorio-Cgil ritiene che la principale causa del cattivo andamento dell’economia sia la carenza di investimenti fissi: “Gli investimenti fissi in Italia – si legge nello studio – hanno sofferto in Italia una contrazione molto rilevante nel 2008 e, piu’ ancora, nel 2009 (-12,7% rispetto al 2007), per cedere nuovamente nel 2012, nel 2013 e ancora nel 2014, fino a -30,3% rispetto al valore pre-crisi (nel 2015 si osserva solo un modestissimo recupero). Lo stesso aggregato riferito alla zona Euro ha subito, dopo la caduta del 2009, oscillazioni limitate, con una discesa nel 2013 del 5,8% rispetto al 2011, quasi completamente riassorbita nei due anni successivi”. 
Per la Cgil “il vero problema italiano si chiama dunque ‘investimenti’ come dimostrano i 17 punti di ritardo dall’area euro, i 37 di distacco dalla Germania e l’andamento ancora stagnante nel corso del 2015. Questo e’ il vero gap da colmare”. L’andamento dell’economia ha contribuito a contenere nel nostro Paese anche la dinamica salariale. Tra il 2007 e il 2012 le retribuzioni nominali sono aumentate in Italia del 12,5% contro un incremento della media della zona euro del 16,8%. In termini reali (l’indice e’ calcolato sulla media delle retribuzioni annuali dei dipendenti full time e full year a prezzi 2015) le retribuzioni nominali sono diminuite nel 2011 e soprattutto nel 2012 (-3% rispetto al 2011), per seguire nei tre anni successivi un trend in leggera ascesa e collocarsi nel 2015 a -1,7 punti percentuali sotto il valore registrato nel 2007 (in Spagna sono stimate a +5%, in Francia a +8,5% e in Germania a +9,3%). Se si confrontano le retribuzioni a parita’ di potere d’acquisto, nel 2015 il salario medio in Italia e’ valutato a 34.140 dollari, pari all’83% della retribuzione media nei Paesi Ocse (41.253 dollari), un valore inferiore anche a quello spagnolo (36.325 dollari).

Per il segretario confederale della Cgil, Danilo Barbi, responsabile delle politiche economiche, lo studio dimostra chiaramente come “l’Italia, rispetto alle altre economie avanzate, abbia registrato un rallentamento piu’ intenso della produttivita’. Un declino da attribuire non al lavoro, ma al capitale, con la riduzione di investimenti, ricerca e innovazione, e alle determinanti sistemiche che impediscono la migliore combinazione dei fattori produttivi (politiche industriali, infrastrutture, sistema fiscale, mercato del lavoro)”. 
“Purtroppo – aggiunge il dirigente sindacale – le soluzioni alla crisi continuano ad essere ricercate sempre con le stesse ricette liberiste che hanno provocato il declino economico di molti paesi: austerita’ e privatizzazioni, precarizzazione e svalutazione competitiva del lavoro, deflazione salariale, deregolazione e finanziarizzazione”. 
“Il governo con la nota di aggiornamento al Def 2016 – sottolinea Barbi – sceglie di perseguire, anche per i prossimi trenta mesi, una politica di stagnazione, attraverso ulteriori tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni e riduzioni delle tasse alle imprese”. 
“Per trovare la via di una nuova crescita – conclude il segretario della Cgil – bisogna riscoprire l’obiettivo della piena e buona occupazione, investendo sul lavoro e sul futuro. Per questo la Cgil insiste nel proporre un Piano straordinario per l’occupazione giovanile e femminile, la Carta dei diritti universali del lavoro, un moderno sistema di relazioni industriali”.