Il Nobel per la Letteratura 2016 a Bob Dylan

L’assegnazione per aver «creato una nuova poetica espressiva all’interno della grande tradizione canora americana»

Sarà contento dal suo chissà dove anche Dario Fo, di questo puntuale e inusuale passaggio di testimone del Nobel per la Letteratura nel campo delle arti cosiddette minori (in realtà poi predominanti nell’attenzione del mondo popolare contemporaneo). Bob Dylan era in lista d’attesa per il suo Premio più o meno proprio da quando ne era stato insignito il nostro Fo, una ventina di anni fa: sapeva naturalmente di essere stato proposto, ma conoscendolo un poco, s’immagina che oggi rimarrà sprofondato nel silenzio e, sotto la larga falda del suo cappello, si congratulerà al massimo con se stesso.

E’ singolare che il prestigiosissimo premio arrivi in un momento nel quale il Vate di Duluth spende la sua vita artistica dedicandosi (negli ultimi due album usciti) a brani non suoi ma dell’American Songbook della tradizione; ripercorre ad esempio – anche in concerto – molti successi di Frank Sinatra, con una pronuncia impeccabile che mai ha utilizzato con i propri testi, di solito smangiucchiati e ingoiati e infilati dentro musiche stravolte, per noia o per combattere l’aura troppo impegnativa di alcuni titoli (o per non far cantare il pubblico, non s’è mai saputo).

La motivazione del Nobel fa naturalmente riferimento soprattutto ai testi sacri della cultura musicale pop (”Blowing in the Wind”, “The Times They Are a-chancing” o “Like a Rolling Stone» o “Master of War” e altri cento, almeno) che in cinquant’anni hanno contribuito prima ad allargare una nuova coscienza collettiva giovanile in tutto il mondo. Ma intanto il vecchio Bob si allontanava poco a poco dall’attenzione spasmodica che li imprigionava, e disegnava paesaggi sempre più enigmatici o universali.

Bob Dylan è uno che non ha mai battuto la fiacca con gli album, e raramente si è fatto desiderare. Un cantautore assai prolifico, anzi il più prolifico di tutti i numeri uno: e a differenza di molti suoi coevi, ha tenuto alto fino ad ora il livello dell’espressività, sfornando anche nel Terzo Millennio album bellissimi, di straordinaria intensità. Uno per tutti, “Modern times” del 2006.

Esemplare anche il caso di “Tempest”, uscito l’11 settembre di 4 anni fa, dove in perfetta sintonia con la tradizione hobo che viene citata nella motivazione del Nobel, Dylan si avventura nel ricordo dell’affondamento del Titanic, e in 14 lunghissimi minuti canta le dinamiche umane di quella tragedia, facendo nelle sue metafore aperto riferimento alle indifferenze collettive del nostro tempo.

Come Dylan, intanto, piaccia o non piaccia non ne sono nati più. Ed è giusto che sia premiato con il Nobel proprio lui, che rinfocolerà il dibattito sulla natura letteraria dei testi per le canzoni: concetto respinto dai più, negato dalla desolazione delle liriche che ci tocca subite in quest’epoca storica, ma assolutamente vero se riferito al Vate di Duluth. Che nel frattempo è diventato un artista di nicchia, quasi sconosciuto da chi ha meno di trent’anni.  (Fonte stampa.it)

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