Economia e Società (di Marcello Curatolo) La questione bancaria

I sistemi bancari – sostengono gli economisti Charles Calomiris e Stephen Haber – sono l’alleanza implicita tra governi e attori privati. Quell’alleanza opera secondo le logiche della politica, non dell’efficienza “. Questo paradigma che ha dominato anche l’industria bancaria italiana per oltre un secolo si sta indebolendo grazie alle spinte della BCE dalle quali sono discesi gli interventi del governo Renzi nell’ultimo anno. Una rivoluzione, dopo le aggregazioni del 2007 con la nascita di Intesa Sanpaolo e Unicredit, per incoraggiare le fusioni tra gli istituti di medie e di piccole dimensioni, ridurre il numero abnorme di sportelli e smuovere la cronica scarsa capacità del sistema di fare profitti. Nel novembre 2014, la creazione del Meccanismo unico di supervisione (Ssm) in seno alla Bce, che esercita vigilanza diretta su 14 banche italiane e può avocare a sé i “casi critici”, insieme al cambio di approccio in fatto di salvataggi – dai bail-out di stato, al bail-in in capo ai privati – hanno innescato il cambiamento. All’inizio del 2015 le prime dieci banche popolari sono state forzate a trasformarsi in società per azioni per decreto abbandonando un sistema di governo localistico e paralizzante per poi provare a fondersi: il primo test è il matrimonio annunciato tra Banco popolare e Banca popolare di Milano. Il 18 marzo a Bruxelles Renzi ha dichiarato: Il 2016 è l’anno in cui l’Italia deve sistemare definitivamente la propria questione bancaria…Noi ci stiamo lavorando da qualche settimana, pancia a terra, tutti i santi giorni, per avere una soluzione che rispetti le regole europee che non abbiano voluto noi ma che dobbiamo rispettare. Una soluzione che dia sicurezza ai correntisti, dia garanzia agli istituti di credito: salteranno poltrone, ci saranno meno banchieri e in prospettiva meno bancari perché non possono esserci 300mila bancari, con l’innovazione tecnologica. Ci sarà qualche filiale in meno ma nel rispetto delle persone senza licenziamenti di massa. Lavoriamo per avere una soluzione finale, ci sono le condizioni e vanno aiutati i processi di integrazione e fusione.  Successivamente l’argomento è stato ripreso al Forum Ambrosetti di Cernobbio! “Le banche devono aggregarsi. Ci sono più poltrone e filiali che nel resto del mondo”. Farlo a Cernobbio ha una valenza maggiore: perché, quando lo ha detto  il premier aveva  davanti a sè alcuni dei volti più noti dell’economia e della finanza italiana; è a loro che  si rivolge nel corso del suo intervento al Forum Ambrosetti. L’appuntamento sul Lago di Como serve così a invitare il settore a fare un passo che poche banche hanno voglia di fare. Troppe le incertezze regolamentari, troppa la paura che la Vigilanza chieda, in caso di aggregazione, più capitale a copertura delle sofferenze, come accaduto nel caso del Banco Popolare. Troppa scarsa, forse, anche la volontà nel mondo del credito di lasciare posizioni apicali, peraltro in rappresentanza di territori che vivono proprio grazie al prestito bancario. Ma Renzi si scaglia anche contro l’intera “classe dirigente” che ha le sue colpe nell’aver provocato le difficoltà odierne del mercato bancario, ignorando nel corso degli anni i rischi connessi alla malagestio delle aziende bancarie.  “ Lasciatemi essere provocatorio: c’è stata una grande sottovalutazione negli anni scorsi, non solo della politica ma anche del gruppo dirigente, dagli accademici ai giornalisti, agli imprenditori  e dei banchieri stessi”. Anche se è “la politica la principale responsabile della cosa pubblica”. Così, mentre in Italia “ i politici hanno pensato di poter avere ancora un impatto fortissimo nelle banche”, nel resto di Europa si andava “ verso un modello diverso, più serio. Ogni riferimento ad alcune banche, dal Monte dei Paschi alle Popolari è puramente voluto”, è la chiosa del premier! Il forum Ambrosetti è stato anche l’occasione, per fare il punto sullo stato di salute del settore. Gli indici sono impietosi: nonostante il lieve recupero registrato nelle ultime sedute, Piazza Affari è in rosso del 20% circa da inizio anno. Secondo Renzi, tuttavia, il calo segnato dalla Borsa, e dalle banche in particolare, dipende dalle sofferenze. Un fronte, questo, su cui potrà giocare un ruolo di rilievo il fondo Atlante. L’invito di Renzi alle aggregazioni bancarie trova (paradossalmente) consensi tra molti dei principali banchieri italiani. E’ vero: il consolidamento, inevitabilmente, porta con sé meno poltrone. Ma, se fatte bene, le aggregazioni possono generare efficienza in un sistema che fatica a essere redditizio. “Diversi istituti hanno profittabilità molto bassa e le aggregazioni devono migliorare la loro capacità di generare capitale”, dice Alessandro Profumo, ex presidente di Mps ed ex a.d. di Unicredit, ora presidente di Equita Sim. Il manager, a margine del forum Ambrosetti, sottolinea del resto anche la necessità di un cambio del sistema creditizio, che rimane “troppo bancocentrico, mentre vanno favoriti canali alternativi di finanziamento alle imprese”. D’accordo con la necessità di un cambio di passo anche Carlo Salvatori, banchiere di lungo corso, secondo cui in Italia ci sono troppe banche e troppo piccole, che hanno quindi difficoltà a stare sul mercato”. Il sistema dovrà insomma ripensare se stesso, come già sta accadendo, e puntare sulla “digitalizzazione così come sulla revisione del modello di business”. Sempre meno operazioni a basso valore aggiunto allo sportello che “hanno fatto vivere le banche in passato”, dice Salvatori, e sempre più spazio, invece, a “consulenza e all’offerta di prodotti innovativi”. Del resto il processo, quello del mutamento del modello organizzativo, sta coinvolgendo in pieno diverse banche, queste, hanno deciso, di “focalizzarsi sul corporate e investment banking nel nostro paese, abbandonando attività ritenute non più core come il retail”. Ma dopo otto mesi di alta tensione con Europa e mercati, la strada per recuperare la fiducia degli investitori, del sistema finanziario internazionale e soprattutto per placare la furia speculativa dei mercati resta ancora lunga. Sul percorso restano ostacoli ben noti e discussi, come lo smaltimento degli oltre 200 miliardi di sofferenze che pesano sui bilanci bancari e soprattutto la lentezza del processo di concentrazione e consolidamento tra istituti, ma anche criticità strutturali che vanno ben oltre la solidità patrimoniale: per le banche, come per i mercati, la vera grande sfida che ha davanti il sistema finanziario – e non solo di quello italiano – è quella di inventarsi un nuovo modello di business, snello, flessibile e soprattutto ben focalizzato sui cambiamenti in atto nel mondo del risparmio, della finanza d’impresa e del mercato dei capitali. Quando una delle più grandi banche del mondo come il Santander annuncia l’intenzione di chiudere nel prossimo decennio quasi il 90% delle filiali per trasformarsi in banca digitale, è evidente che il problema della ristrutturazione delle banche e dei modelli bancari va affrontato in Italia con la stessa urgenza. Le banche italiane prestano molto e raccolgono poco, sono praticamente fuori da mercati redditizi come l’underwriting e il Corporate finance, guadagnano quasi esclusivamente dalle commissioni ai clienti e hanno costi operativi nettamente superiori a quelli dei concorrenti europei: con i tassi a zero destinati a comprimere le redditività dell’intermediazione, una profonda ristrutturazione dell’intera industria è un processo scontato. Non c’è dubbio infatti che l’enfasi messa da Matteo Renzi al Forum di Cernobbio sulla ristrutturazione delle banche rappresenti una sorta di chiamata collettiva alla realtà per banchieri e sindacati: chiudere metà delle 30mila filiali bancarie sparse in Italia, come si stima necessario, significa licenziare non meno di 150mila lavoratori bancari, con costi sociali potenzialmente drammatici, Renzi ha esortato i banchieri a non sottovalutare la rischiosità di questo processo. Ma sulle strategie per affrontarlo resta ancora il buio. Le banche sostengono che la rigidità dei contratti del settore impedisce loro di chiudere filiali e ridurre il personale come vorrebbero azionisti e mercati. Da soli, banche e sindacati hanno serie difficoltà a metter in atto questo processo, la cui importanza è pari o persino superiore a quella degli Npl perché riguarda la competitività di lungo periodo. In quest’epoca di risorse scarse e di economia in affanno, fare politica industriale è difficle ma non impossibile: sostenere le banche e aiutarle a ristrutturarsi, significa aiutare le necessità di credito e di sviluppo per decine di settori industriali. Il Made in Italy è un sistema fatto di banche e  di imprese, di tecnologia e di risorse per gli investimenti. Quando vuole, il governo ci riesce: nelle banche come nelle imprese del Made in Italy. Le azioni ben mirate sono spesso utili quanto il denaro per risollevare industrie in crisi profonda. La nautica da diporto ha ripreso il largo, per esempio, grazie a pochi incentivi fiscali e al rapporto costruttivo con il governo sulla promozione e gli investimenti: e quasi immediatamente , anche le banche hanno riaperto i rubinetti con grandi e piccoli cantieri come con tutta la filiera della componentistica. Quando si lavora insieme, ripartire si può. Per concludere cito quanto scritto da Henry Ford: Ritrovarsi insieme è un inizio, restare è un progresso, ma riuscire a lavorare insieme è un successo: Speriamo che coloro i quali si occuperanno della questione bancaria italiana non  dimenticheranno quanto detto da Ford!!!

Marcello Curatolo

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