“Paese amato e abbandonato dagli emigranti, che vi ritornano in estate.
Mussomeli sorge sulla roccia e non sabbia, secondo la visione cristiana, con le case legate fortemente l’una all’altra come segno di unione e difesa tanto da lasciare spazio solo a stradine e vicoli. Al centro si erge, sopra i tetti, dal 1783 l’alta facciata della Chiesa Madre, in pietra calcarea, con l’imponente campanile a vela, che con le sue tre campane, domina il centro storico. Infatti è ben visibile da diverse zone del paese. Alle sue spalle si innalza su una rupe di 80 metri il Castello Manfredonico che è tra i meglio conservati della Sicilia.
Ogni volta che torno a Mussomeli la trovo sempre più spopolata nel suo centro storico. Gli
Sono vissuto in uno dei quartieri più antichi di Mussomeli: Madrice. Quando vi ritorno, vado a celebrare la S. Messa alle ore 9,00 nella Chiesa di S. Maria di Gesù, già appartenuta agli Agostiniani Scalzi (1649-1911), a cui indegnamente faccio parte. Mi parto da Via Barcellona (Madrice) e percorro a piedi la Via dei Santi (a strata di u Signuri). Non incontro nessuno che cammini a piedi, solo qualche macchina che sale. Tante porte sono da tempo chiuse e altrettanto le finestre, di cui qualcuna è con i vetri rotti. I negozianti hanno abbandonato queste vie, una volta piene di abitanti e di negozi. Le colombe sono i nuovi inquilini di tante di quelle case e l’erbaccia per terra fa notare lo stato di abbandono. Il paese è purtroppo diviso in due: a nord la parte più pianeggiante del Rione Dalmazia e a sud quella di S. Maria e S. Enrico.
I Ricordi come i filmati d’epoca, che non hanno bisogno restauri
Per fortuna che la memoria – come in un filmato – ha registrato tutte quelle scene, quei volti che non ci sono più a causa dello tsunami consumistico che ha spazzato via luoghi, tradizioni, fede religiosa, famiglie unite ecc. Come dimenticare S. Margherita, dove sono vissuti i nonni materni, la fraccucara, i trummetta, puddizzi, facciranni, l’esattore…. E poi a u muru ruttu i spiazzii, gatti, annubagliu, ciuciu, girasiaddi, a monaca, e nella stessa via a mararosa, i barbittuna, culloru, patafumu, aina, vavò, taviddi, l’acquavivisi, a muta… Quando gli spazzini non c’erano, si buttava tutto dalla finestra: dalle teste di sarde al vaso di notte con la doverosa frase: Cu c’è di sutta? Per fortuna che c’erano le galline, i gatti e la pioggia che con le strade scoscese ripuliva tutto. Ai moribondi ci si premurava di portare il SS. Sacramento con le candele accese e l’ombrello. Si avvisava i fedeli con la campana che suonava l’agonia affinchè essi pregassero per la salvezza della sua anima. Quando moriva, si suonava a finitura, segno che il combattimento era finito. Poi era il momento per i parenti o altri di ittari i vuci. Ricordo ancora i quattro becchini che portavano la bara, magrissimi e alti, che erano più di là che di qua. Per i matrimoni gli orari erano: ore 6 e 8, massimo alle ore 10, perché la gente doveva andare in campagna. Tra i testimoni spesse volte c’era il sacrestano della chiesa. Il ristorante era casa di uno degli sposi ed il buffet consisteva nel dare i confetti, qualche dolcino ed l’immancabile rosolio.
Paese amato? e abbandonato dai residenti del Centro Storico.
C’è da chiedersi fino a che punto il benessere è stato un bene? Le emigrazioni nel passato ci sono state, ma non c’è stato lo spopolamento del centro abitato. In questo caso c’è l’abbandono spirituale, culturale, sociale di tutto ciò che esprimeva il centro storico così compatto, protetto e difeso dalla maestosità della Chiesa Madre con il suo campanile alto e visibile. Le 15 chiese, in esso presenti, erano il vanto di ogni quartiere, confraternita e famiglia: S. Ludovico (Madrice), S. Giovanni Battista, S. Maria del Monte Carmelo, S. Enrico, Chiesa della Provvidenza, S. Margherita, S. Antonio, S. Maria del Monte (Monti), S. Francesco d’Asssisi, S. Maria di Gesù, S. Maria delle Vanelle, S. Domenico (Madonna dei Miracoli), Madonna di Trapani, Collegio di Maria (La Badia), Oratorio dell’Arciconfraternita del SS. Sacramento.
Ad una casa bella si preferiva una chiesa bella e artistica, che rappresentava la comunità e non il singolo individuo. E’ il rifiuto di una cultura e mentalità agricola-cristiana. Per esprimere la cultura di oggi: industrializzata ed egoistica, il cui dio è il denaro, si è voluto costruire addirittura un nuovo paese, che esprime bene questa cultura, un agglomerato di
In questo nuovo paese non si sente il bisogno di avere le Chiese. Infatti vi sono solo due chiese: Cristo Re e la Trasfigurazione.
Potranno le due mentalità, i due paesi: quello abbandonato e quello abitato, trovare una soluzione, un compromesso? Come far capire che il Centro Storico è bello ed ogni suo angolo presenta una nuova prospettiva quasi ad attirare e sorprendere il visitatore?
Nel 1966, 50 anni fa, il cantante Adriano Celentano ne il ragazzo della via Gluck anticipava tutto ciò mettendo in risalto la nostalgia del proprio paese:
“Mio caro amico” disse “qui sono nato
e in questa strada ora lascio il mio cuore
ma come fai a non capire
che e’ una fortuna per voi che restate
a piedi nudi a giocare nei prati
mentre là in centro io respiro il cemento
ma verrà un giorno che ritornerò
ancora qui.
Ci auguriamo che, anche se non trova gli amici, possa comprare la sua prima casa e salvare il Centro Storico:
però quel ragazzo ne ha fatta di strada
ma non si scorda la sua prima casa
ora coi soldi lui può comperarla
torna e non trova gli amici che aveva
solo case su case catrame e cemento…
e no se andiamo avanti così
chissà come si farà.”
(P.Mario Genco)