“Era nella terra del padre. Lì dove tutto aveva avuto un origine. Viveva nel ricordo e per amore del padre. Un amore condizionato, relativo, come il padre gli aveva insegnato. Poteva vivere da solo perché il padre scomparso lo aveva tanto amato. L’amore è una fede, una fede che viene dal padre. Altro non pensava in quella terra, tra ulivi, querce, pini, alberi da frutto, fiori di diversa varietà e un albero gigante di alloro che gli teneva compagnia. Con poco viveva e nulla lo infastidiva. Era nella terra padre. Forse, un luogo di meraviglie e di bellezze: un paradiso terrestre! Sicuramente, un luogo di libertà. In quel preciso istante, come se fosse oggi e non ieri, ricordò il sorriso del padre che gli diceva: “Coloro che non sanno ridere non mi fanno ridere. E’ un detto popolare. Caro figlio, quando qualcuno è troppo convinto e non sa quello che dice mi torna sospetto. La troppa serietà non significa essere seri. Ricordati sempre di guardare in faccia la gente e se non li vedi sorridere rifletti. C’è sempre da capire perché non sorridono. Sai, l’ironico è sapiente perché sa di quanta miseria è fatto l’uomo. Lo vedi come sorrido delle mie amare disgrazie? Non saprei fare diversamente. Gli altri poverini vivono di illusioni. Ricorda sempre che ad un uomo non bisogna chiedere l’impossibile e che tutto è relativo. Solamente Dio sa perché è l’assoluto.” Cosi si espresse il padre mentre il figlio lo ascoltava in silenzio e con tanto affetto. Il figlio era diverso, non credeva a tutto, si limitava ad ascoltare e a riflettere. Era un dialogo quello tra padre e figlio che riempiva la vita. Il primo trasmetteva il suo sapere e la sua esperienza, il secondo ascoltava dubitando: coglieva i semi di quelle parole senza condividerne tutto il contenuto. La conversazione andava avanti per ore e nessuno si stancava di dire, di parlare senza reticenze. Era il loro segreto in quella contrada non tanto distante dal paese. Sapeva il padre come sdrammatizzare le situazioni e il figlio sempre più gli assomigliava raccogliendo la sua eredità spirituale e morale. Ridevano e sorridevano padre e figlio prendendosi beffa di tutti quei finti ciarlatani che credevano di essere oro colato, sapienza infusa. L’ironia attraversava come un alito di vento leggero il loro dialogo fatto di allusioni, metafore, giochi di parole, motti di spirito, detti popolari. Per loro tutto si faceva rarefatto, complice idillio di cose dette e non dette, afflato di ricordi e di esperienze. Con entrambi la vita non era stata generosa. Ma la sofferenza, il sacrificio, i problemi quotidiani li avevano indotti a pensare positivamente, senza abbattersi, senza rinunziare. Una strana forza, una resistenza indomita, un qualcosa di miracoloso ed inspiegabile li aveva resi malleabili, duttili, capaci di incassare colpi patendo nel silenzio. Per loro due non c’era la fatica del vivere perché tutto diventava allegra spensieratezza. Tra cibo e musica, tra buone letture e passeggiate distensive, la vita scorreva come un sole che gira dall’alba al tramonto. Non esisteva opaca notte perché il giorno era sempre splendido con i suoi colori, con i suoi profumi, con le tante storie narrate che univano il padre al figlio. Adesso che lui non c’era più la vita sembrava più vuota ed insignificante. Ma non era così. Il padre aveva saputo vivere ed aveva saputo morire, lasciando al figlio il commosso saluto che sembrava dire: arrivederci. Come se tra loro due il legame non si fosse mai spezzato. Era questa la fede che entrambi intendevano: la fede nella vita.
tratto da “I racconti del padre” di Tonino Calà