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Il mito della dissolta Jugoslavia

Robin Hood

Il mito della dissolta Jugoslavia

Mar, 30/08/2016 - 20:43

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Le Olimpiadi sono finite, guardo con grande ammirazione la cerimonia di chiusura sorridendo alla vista di Super Mario. Sono ammirato delle tante medaglie negli sport di squadra della Serbia, della Croazia, del Montenegro, sia nel maschile e nel femminile, di volley, pallanuoto e basketball e  penso anche all’Italia del volley e della pallanuoto, ma anche con molta tristezza all’Italia non presente nella Pallacanestro

 I miei ricordi vanno alla Jugoslavia di Kukoc, Kicianovic, Cosic ed al loro modo stupendo di giocare, penetra e scarica; ad una memorabile partita contro gli azzurri, in cui ad ogni penetrazione la nostra difesa collassava l’area e loro scaricavano fuori e così via per altre 3 , 4 volte fino ad un tiro comodo, con guardie di 2,07 come Toni Kukoc, playmaker di 2,10 come Cosic (nella foto in bianco e nero) e grandissimi allenatori: Novosel, Zeravica e soprattutto Asa Nikolic, di cui conservo gelosamente un libro, “la selezione nella pallacanestro” che mi ha accompagnato nella mia vita da coach…….

Ma la mia mente corre e sfoglia al contrario il computer che c’è dentro essa fino ad arrivare al disgregamento di questa nazione, alla guerra che fu annunciata da tanti indizi .

spt_cosic_0228-1La guerra comincia nel 1991 nel mese di Giugno quando è in corso il Campionato Europeo al Palazzo dello Sport del EUR a Roma. Allora la Jugoslavia aveva una squadra prodigiosa, la compagine più forte mai avuta, c’erano una serie di talenti formidabili. Io ebbi la fortuna di vedere gli europei a Zagabria nel 1989, con la vittoria della Jugoslavia: una supremazia netta, ricordo il risultato finale, Jugoslavia batte Grecia 98-77, e questa superiorità era talmente netta che accadde un episodio poco sportivo, Paspaly, ala mancina che poi fece fortuna in Grecia, sostituito a pochi minuti dal termine, prese una bottiglia di champagne e la stappò mentre ancora si giocava, questo per avere l’idea della superiorità di quella corazzata.

petrovicTornando a Roma, quella fu una strana serata, c’era uno sloveno, che faceva il playmaker che non disputò la finale a Roma Jury Zdovc, che giocò successivamente nella Virtus Bologna, c’era il simbolo del basket croato che era Drazen Petrovic (in foto con la maglia dei New Jersey Nets), che è sepolto a Zagabria, vedevi la gioia di quel ragazzo c’era una altro croato Dino Radja, praticamente quella squadra fu una squadra incredibile, dove c’era la gioia di giocare a basket, Danilovic che fece fortuna in Italia, a Bologna, sponda Virtus, Sasha Diordejivic, Vlade Divac che diventerà il presidente della Federazione Serba che andò a giocare nei Los Angeles Lakers. Ad un certo punto finì questa finale, e ci fu una festa nella piazza principale di Zagabria, piazza Jelacic che aveva ancora il vecchio nome e sostanzialmente fu l’ultima volta che in un avvenimento sportivo il pubblico inneggiava: “Jugoslavia, Jugoslavia”. C’erano delle cose incredibili che accadevano: i nazionalisti serbi avevano radunato in una grande spianata l’orgoglio serbo, in modo che lo sport resistesse.

Zdovc02Ma nel 1990 accaddero 2 eventi simbolici in questo senso, cioè il 17 marzo del 1990 fra Stella Rossa Belgrado e Dinamo Zagabria ci furono incidenti gravissimi e sostanzialmente i poliziotti entrarono in campo e cominciarono a manganellare persino i giocatori e c’è la famosa foto di Boban che viene colpito da un poliziotto che è serbo: fu un grande campanello di allarme. Nei campionati europei del 1990 di Spalato, il vincitore del salto in alto, Topic, fu fischiato, era serbo. Quindi è chiaro, poi nel 1991 ai Campionati Europei di Roma, ci fu questo momento in cui, sostanzialmente, Zdvoc playmaker della nazionale jugoslava, ricevette una telefonata, in cui gli dissero di non giocare; trovarono un accordo, e praticamente Zdvoc (in foto con la maglia numero 7)  non se la sentì di giocare.

Quello è il momento in cui la Jugoslavia finì anche nello sport .

Certamente io credo che quello fu il simbolo in un qualche modo di una civiltà sportiva che si arrende, perché la Jugoslavia aveva dei modi di vivere che ora sono molto cambiati. Per esempio a Belgrado, Sarajevo e Zagabria si viveva in tuta, il vivere in tuta era normale anche se adesso molto meno.

Ora i miei occhi ritornano a Supermario con quel ricordo bellissimo della Jugoslavia di basketball, pensando alle Olimpiadi di Tokio, ricordando che quelle del 1964 io le vidi nella saletta TV al Oratorio Salesiano Sacro Cuore, ma ve lo racconterò un’altra volta.

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