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Fatti, sport e dintorni. La cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Roma del 1960 attraverso la penna di Pier Paolo Pasolini

Robin Hood

Fatti, sport e dintorni. La cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Roma del 1960 attraverso la penna di Pier Paolo Pasolini

Sab, 06/08/2016 - 16:39

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Inaugurazione Roma 1960

Inaugurazione Roma 1960

CALTANISSETTA – Mentre guardo la sfilata della Cerimonia di Apertura dei XXXI Giochi Olimpici di Rio de Janeiro , il libro della mia memoria sfoglia velocemente all’indietro , fermandosi all’Estate del 1960: mi sono da poco trasferito a Polizzi Generosa con i miei, da Marina di Campo, a marzo nacque mio fratello e mio padre per le Olimpiadi comprò una TV in bianco e nero, piccolina, con lo scatolone/contenitore dello schermo di colore nero. Mio papà disse che eravamo solo in 10 ad averla in paese e tutti i bambini del quartiere vennero a casa della nonna per vedere il cinema in scatola ed io ero felice, mi sentivo importante perché ero il mezzo della loro felicità.

Di quelle Olimpiadi ricordo veramente poco, solo la cerimonia inaugurale, di cui non potevo apprezzarne la bellezza, sia per la mia tenera età (tutto intento a guardare i miei amici dai volti sorridenti, che guardavano questo giocattolo nuovo) e sia perché la TV era ancora in bianco e nero.
Immediatamente il libro ripercorre velocemente le pagine fino ai giorni nostri, alle lezioni di giornalismo e di letteratura sportiva tenute magistralmente dal prof. Piccioni al Foro Italico, per poi, altrettanto velocemente proiettarmi in un futuro prossimo: le Olimpiadi di Roma 2024, per il quale tanto sta lavorando il nostro Presidente Malagò. Fra tutte queste immagini mi appaiono i tanti scritti di Pier Paolo Pasolini, di letteratura sportiva e di giornalismo sportivo che il prof. Piccioni mi ha fatto conoscere.

Pier Paolo Pasolini

Pierpaolo Pasolini

La vicenda di Pasolini è una vicenda davvero speciale, come tante delle cose che gli sono accadute. Intanto è stato uno degli intellettuali che ha avuto un rapporto, davvero viscerale con lo sport, c’è stato un momento nella nostra vita, particolarmente negli anni ’80-’90, tra la vittoria ai mondiali, l’avvento della TV commerciale, la contaminazione del linguaggio sportivo che ha invaso, prima di tutto quello della politica, con l’intellettuale di turno, fosse un regista o uno scrittore o anche un politico e cominciare a dare spettacolo. Era una forma di autopromozione , lo è ancora ma il momento fu quello, gli anni ’80 e naturalmente accadde che tutto si paralizzò, tutto diventa un grandissimo calderone, in cui c’è quello che dice della Juventus, quello che dice dell’Inter, il rapporto di Pasolini con lo sport fu completamente diverso. Intanto perché Pier Paolo Pasolini era un tipo umano, che aveva dentro il cuore e dentro le gambe, la pratica sportiva. Era nato a Bologna , città particolarmente sportiva, è cresciuto in Friuli, dove c’erano grandissime tradizioni, andava moltissimo in bicicletta ma nel senso sportivo del termine, giocava a pallacanestro ai tempi universitari , era amico di un grandissimo triplista, il poeta Luciano Serra, aveva una grandissima voglia di occuparsi di Sport ma cercava di farlo con una certa umiltà, fu leggendaria la sua partecipazione al “Processo alla tappa” condotta da Sergio Zavoli, che andava in onda dopo le tappe del giro d’Italia.

Benvenuti contro Griffith

Benvenuti contro Griffith

La sua non fu una biografia sportiva chiusa a chiave e la sua idea di sport non era isola felice che doveva proteggersi dai contatti esterni e infatti lui rivendicava il diritto a non essere nazionalista nello sport, un diritto che in genere è sempre negato, nel calcio, ma non solo, si afferma sempre l’idea che tu debba tifare per il tuo connazionale e Pasolini invece contestava tutto questo, sia per ragioni biologiche che sia per ragioni , in qualche modo antropologiche e lo fece ripetutamente, lo fece quando rivendicò il diritto di tifare Griffith dopo che Benvenuti aveva confessato le sue idee politiche di destra, e lo fece quando a proposito del discorso del contagio tra lo sport e il resto della vita e negli ultimi anni della sua esistenza, Pasolini denunciò questa scomparsa dei ragazzi di vita, questo rischio della omologazione attraverso la televisione ed in effetti tutto questo lo vide anche in un campo di calcio e queste stesse sensazioni quando ricercando questa purezza che era stata smarrita, vide una partita durante le riprese del “Fiore di mille e una notte” e vide una partita del campionato etiope, c’è un suo racconto su questa partita e su un personaggio di questa partita, che da proprio l’idea di questo discorso, che riguarda tutto il mondo, del resto della vita ma che viene declinato in sostanza in un campo di calcio. Questo racconto che rappresenta tutto ciò che dicevamo prima, cioè la necessità di proteggere una curiosità, fuori il più possibile da infrastrutture.

Il Nazionalismo, per esempio, un Nazionalismo esasperato è un limite, perché tu arrivi alle Olimpiadi e sai già che le storie che interessano , riguardano atleti italiani .
Questo per dire sport isola felice che non contagia che è qualcosa a parte e quindi torniamo a Pasolini per non perderci la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici del 1960. Pasolini presumibilmente si trova in un settore dello stadio, io credo in curva , dicevo che appunto non è in tribuna stampa e racconta la diversità rispetto al Olimpico che lui era abituato a frequentare, quindi:
“ a dire il vero, mi aspettavo, lungo i viali che portano allo stadio Olimpico il caos delle partite di calcio il solito calore delle partite calde con la nota passione vivace, convenzionale e plebea, niente invece, attorno a me camminava con calma e quasi in silenzio una folla del tutto nuova, con vestiti insieme più vivaci e modesti dei nostri, le facce torvi, meno belli ma più sani, i sorrisi senza ironia e senza volgarità ma anche un po’ senza vita. Erano quasi tutti stranieri, tra loro galleggiava la testa di qualche romano sperduto con il sorriso un po’ spento tra le labbra come appunto deve essere un romano al estero, con il suo estro fossilizzato e fatto cosciente. I gelatai gridavano “ Ice Cream”, così con questa folla ordinata entro nello stadio, il grande ovale già tutto pieno, come appunto nei derby, negli inesauribili Roma – Lazio, ma che pace, che ordine, che colore nuovo, un colore un po’ più secco, anestetizzato, lucido, pulito, rossi laccati, marroncini, bianchi di bucato. Intorno a me, punticino sperduto, nel babelico ovale, sotto il sole disperato, non si sentono che parole straniere, le più inafferrabili, finlandesi, israeliani , sembrano stretti di uccelli, di rondini, come dicevano i greci, barbari, madri di 2 figli, gruppi di amici, vecchi signori”
Questo da l’idea che lui abbia un po’ perso la testa, sempre più conquistato e tu potresti raccontare la cerimonia chiudendo a chiave lo sport, perché nel 1960 era un momento che il concetto di isola felice che era così forte, in cui c’era questo concetto della autonomia, non nel senso amministrativo ed economico ma che lo sport fosse un posto dove non ci fossero guai.

Abebe Bikila

Abebe Bikila

“niente furti, niente macchiette, sono tutti un po’ anonimi: finlandesi o israeliani o statunitensi o tunisini hanno un po’ le facce dei deportati a Buchenwald o Dacau e per questo mi sono molto simpatici e non ho mai assistito ad uno spettacolo in così rassicurante e fraterna compagnia.” Poi ci da l’idea delle Olimpiadi che ci raccontano il mondo, nel 1960 il mondo non è più lo stesso, è un mondo che si allarga in così è una geografia che non è più quella di prima, nelle Olimpiadi del 1960, l’Africa nera , non quella bianca che aveva già vinto con il Sud Africa, comincerà ad entrare sulla carta geografica. Vincerà prima un ghanese, titolo olimpico della boxe, e Abebe Bikila vincerà la maratona e Pier Paolo Pasolini e ci racconta questo mondo nuovo:
“un attimo e una seconda bandiera sventola , Afghanistan, ordine alfabetico, istituzione meravigliosa, le Antille, le Antille Olandesi, l’Argentina, l’Australia, tutte le nazioni che iniziano per A poi tutte quelle che cominciano per B, già la piccola eccezione che apre la Grecia e chiuda Italia da un po’ fastidio, che sa un po’ di retorica, ma in quel momento non ci si pensa, le rappresentative con le loro bandiera in testa e fanno il giro della pista rossa senza sosta, incalzante e tranquille, le canadesi hanno delle bellissime borsette, i polacchi agitano dei fazzoletti colorati , gli indiani hanno altissimi turbanti arancione, il sole fonde tutto e non c’è un solo costume di cattivo gusto, di solo effetto. Poi ci sono delle ragioni esterne di simpatie, molti applausi hanno seguito la formazione delle Antille formate da 3 giovanotti e molti quelle delle Haiti formate da uno solo grosso, simpaticissimo negro, tutto sudato e come non si poteva applaudire il Ghana o la Liberia o il Giappone, la Bulgaria, la Cecoslovacchia che portava con l’URSS a rispondere al applauso con l’applauso, al saluto con il saluto, al sorriso con il sorriso, ma c’era qualcosa di più forte, di più misterioso, queste sfilate erano brani di storia contemporanea, vivi come brandelli di carne, sorprendenti e strazianti, il Giappone, Cuba, parevano portati dentro lo stadio , così puro, così anonimo la completezza vivente delle recenti battaglie, delle recenti morti, delle recenti passioni, ma tutto come purificato diventato esperienza e dolore di ognuno di noi dal incalzare del tempo e della storia “.
Proprio questo concetto del mondo che cambia, le loro nazioni hanno la loro bandiera al vento, perché gli stati più poveri, iniziano una loro vita civile, perché gli stati più ricchi gli USA e L’URSS sono ad una svolta decisiva della storia, che li porterà a possedere il cosmo, a riordinare in un’altra organizzazione questa terra.
La dimensione di qualcosa di grande di qualcosa che non si ferma allo sport e la capacità a togliere a quella sfilata non solo l’elemento folkloristico ma anche l’elemento storico e poi naturalmente la polemica politica, Pier Paolo Pasolini era schierato in quel tempo e l’Italia era fortemente democristiana, conservatrice e si univano i risultati del boom economico con una situazione molto bloccata dal punto di vista politico ed allora Pasolini racconta il discorso di Andreotti , prendendolo in giro.

Io penso che una cerimonia di apertura come quella, avesse proprio le caratteristiche del mondo nuovo, del mondo pieno di speranze e Pier Paolo Pasolini lo descrive molto bene.

La cerimonia di apertura delle Olimpiadi sono oggetto di un racconto che oggi viene fatto a pezzi da milioni di interpretazioni, di segmenti che vengono visti e rivisti, vi ricordate della cerimonia di Londra con l’apparizione della regina vicino a 007 e però diciamo che sono proprio dei territori del immaginario su cui puoi misurare la sensibilità o la non sensibilità di un paese, anche dei suoi problemi. Ricordo nel 2000 a Sidney: storico incontro degli australiani che vollero rinconciliare la cultura aborigena e quella degli Australiani bianchi.
E quindi diciamo che in quel 1960 anche se le Germania avevano la stessa squadra e il muro di Berlino non era stato ancora alzato comunque quello spirito del muro, era già presente anche ci si illudeva che si potesse arginarne la sua traduzione sportiva, però in realtà quella era una Italia in cui diversi italiani tifavano URSS , era l’Italia della frattura, della guerra fredda tal altro si riproporrebbe nel 2024, perché si tende sempre per ragioni organizzative a puntare su dei pezzi della città terribilmente con delle arterie che Garantiscono il traffico della comunicazione e purtroppo se ne escludono delle altre.

C’è un ultimo pezzo che scrisse Pier Paolo Pasolini che si intitola “Dramma sul filo “ che fu il suo ultimo contributo delle Olimpiadi di Roma e naturalmente, non dimentichiamo mai che sono pezzi che non sono pubblicati su un quotidiano ma su un settimanale e quindi è chiaro che sono anche avvantaggiati , e Pasolini non li aveva scritti in un ora e comunque non aveva molto tempo perché stava girando “Accattone” , quindi si tratta di 3 pezzi:
uno sulla cerimonia di apertura, “un mondo pieno di futuro”, il secondo pezzo che è l’intervista a Kapitanov “traditi i fatti per la bicicletta “e il e il 3° pezzo che si chiama “Dramma sul filo”.

Kassius Klai

Kassius Klai

Questo elemento proprio della capacità di entrare dentro il cuore delle Olimpiadi e di abbattere i muri e le sovrastrutture dei passaggi molto stretti che spiegano il fatto di potere raccontare dal punto di vista che non sia quello incartato, quello preconfezionato. Pasolini racconta di essere in pieno di questi giorni olimpici, “ mi sono accorto di essere un pessimo spettatore di gare atletiche, so che questo può dispiacere, dispiace anche a me stesso, posso dire che sono un pessimo spettatore di gare di atletica pura, quelle ideali, quelle per cui si fanno le Olimpiadi vere e ieri alla pizzeria della Marinella mi sono veramente divertito agli incontri di Boxe ed alla partita Italia –Jugoslavia, mi ha divertito fino a saltare sulla sedia e gridare come gli altri intorno a me , ai tavolini uniti giovani operai disoccupati, rauchi di odore di fritto, trovavo splendido Musso pugile italiano, pugili polacchi, lo straripante Cassius Clay , trovavo ottimo l’adolescente attacco della Nazionale italiana, Rivera, Rossano, Rosato ero insomma veramente partecipe, oggi al Olimpico battuto dal sole cocente ed ora dal freddo che gelava sono rimasto quasi sempre indifferente, ci sarà pure una ragione, qual è? Io credo che sia poco lusinghiera per quanto mi riguarda ma sarà pur necessaria e quindi al di là di ogni giudizio di valore . Da troppo tempo lo sport è spettacolo e tutta l’organizzazione sportiva è per lo spettacolo , il prato erboso dello stadio ed il ring sono dei palcoscenici che hanno addirittura sostituito i palcoscenici veri, è inutile rimpiangere le cose che passano , bisogna coraggiosamente affrontare quelle che si presentano, nuove, portate da nuove necessità. “
Ci sono degli sport che piano piano hanno finito con il non coincidere più con lo spettacolo, solo per pochi reggerebbero uno spettacolo teatrale composto dalle due liriche davanti ad un pubblico medio questo non è concepibile. La reale atletica pura è una lirica più o meno breve: i 100 mt un endecasillabo, i 200 un emistichio, i 400 un quartino, già la maratona è uno spettacolo, perché come un lungo monologo, disperato, drammatico, insomma mentre la corsa e il lancio erano nella antichità erano dei fenomeni necessari anche riguardo allo sport, nella vita quotidiana e nella guerra, la loro purezza era relativa e la loro bellezza si basava sulla necessità. Oggi pian piano nulla di ciò che è fisico è necessario, dato che tutto è stato sostituito dalla macchina e lo sport è diventato lentamente quanto a necessità, un puro fatto igienico, e sopravvive perché soltanto perché sfoga certi spiriti aggressivi e di predominio che nel uomo moderno non si sono ancora spenti ed è quindi diventato spettacolo per la esigenza di masse enormi che senza dubbio non amano la brevità squisita di un endecasillabo.

Noi stiamo parlando della vicenda di Pier Paolo Pasolini alle Olimpiadi di Roma, nel senso che noi cominciamo questi nostri incontri sul comunicare e raccontare lo sport , con una esperienza non troppo conosciuta di Pasolini che quando aveva già scritto i primi romanzi e stava per girare il primo film, aveva scritto una serie di articoli per le Olimpiadi di Roma, molto originali e dal punto di vista non banali e in questo articolo parla di queste impressioni allo stadio olimpico:
“ Oggi allo stadi, sotto il sole bruciante e il vento gelido c’erano con me Moravia ed Elsa Morante. Moravia guardando l’enorme timballo di folla come lui lo chiama ammassato fra il monte Mario e il Tevere mi diceva della piccolezza mi diceva della piccolezza dello stadio di Olimpia , tra i monti brulli e deserti, non trovava parole per descrivere quella piccolezza, una cosa stupenda, perfettamente umana e la vera grandezza è sempre unita alla piccolezza e noi non siamo grandi , la nostra massa non ha l’idea della grandiosità come nella Unione Sovietica e degli Stati Uniti le uniche nazioni moderne, per quanto di una modernità così diversa”

Ecco c’è sempre questo riferimento un po’ ai miti classici , al mito delle Olimpiade della antichità e Pasolini deve essere combattuto tra , il fatto dei suoi studi non classici ma ultra classici fra questa sua fedeltà a questo mito e questo suo desiderio di rompere gli argini , di fare delle cose che stanno fuori dal protocollo e racconta proprio di questo contrasto.
E racconta dopo avere assistito alla finale dei 1500 mt: “Devo dire tutta la verità: mi sono divertito di più, alcuni giorni fa, ad Ostia, allo stabilimento Ognina, alcune ragazze si erano date da fare perché un gruppo di italiani nati stanchi, ragazzi di periferia, si misurasse con un gruppo di ungheresi, dopo infiniti sforzi organizzativi, nella spiaggia settembrina, mezza deserta, con i suoi calori ancora coraggiosamente vivi al sole grigio, le gare sono cominciate, dovevate vedere il pubblico, delle donne, delle sorelle, delle mogli dei bagnini, le serve dei ristoranti, le ragazze del popolo, che era ancora lì, attorno ai capanni , parevano come impazzite, la spiaggetta fra le fila di casotti, gialli e rossi, era un vero palcoscenico e le urla, le risa, gli incitamenti. Naturalmente vincevano quasi sempre gli ungheresi, colossi selezionati, potenti e meticolosi. Allora le donne italiane lanciando parolacce in romanesco, hanno sfidato al tiro alla fune , le donne ungheresi e ce l’hanno fatta, hanno vinto, gridando come matte di gioia , è stata quella una vera riunione sportiva, lo sport ideale ha queste dimensioni, è stata quella una vera riunione sportiva. In questo campo mi piace ciò che piace alla gente, non sono pedagogico, non mi va di cercare di restaurare necessità e passioni passate o di modificare le nuove, mi danno fastidio tutte le riesumazioni.”
Questo è veramente un passaggio che fa discutere, anche rispetto alle cose che dicevamo prima. Una domanda che spesso ci si fa: quanto lo sport deve essere un qualcosa che non tradisce le sue origini e quanto in qualche modo, invece, deve cercare di rispondere ai gusti , tra virgolette, del pubblico ? se ci pensate persino anche il Comitato Olimpico Internazionale, è una entità fatta persona, è un organismo non democratico perché vengono portati, non vengono eletti, si pone il problema di uno schema, di un repertorio che non può essere lo stesso nel corso degli anni e quindi ad un certo punto, c’è il dibattito ancora in corso, di togliere alcuni sport, di inserirli altri e questo è un tema che evidentemente nel 1960 è assolutamente vietato, nel dibattito olimpico, figuriamoci, qualsiasi attentato a quel tipo di percorso.

Bè forse mi sono lasciato trascinare dai sogni e da questo momento bellissimo che è la Cerimonia d’Apertura delle Olimpiadi, ma ora non c’è più tempo , dobbiamo pensare a goderci questo spettacolo senza un inutile nazionalismo…

Francesco Anselmo