Rassegna stampa. Le stragi di mafie e il pentito: spaccatura tra le Procure di Caltanissetta e Palermo

A Caltanissetta e a Palermo la pensano in maniera opposta sulle dichiarazioni di Consolato Villani
PALERMO – Era già accaduto con il dichiarante Massimo Ciancimino. Si ripete con il pentito Consolato Villani. A Caltanissetta e a Palermo la pensano in maniera opposta. I pm nisseni ritengono che le dichiarazioni di Villani siano prive della credibilità necessaria e le hanno lasciate fuori dal processo Capaci bis. I pm palermitani, invece, sono convinti che i suoi racconti servano a ricomporre il puzzle dell’ignobile stagione della presunta trattativa fra la mafia e lo Stato.
Era già accaduto con Ciancimino jr, dunque. Processato per calunnia su richiesta dei magistrati di Caltanissetta, testimone chiave per quelli di Palermo. Sulla sua gestione negli anni passati era nato un conflitto durissimo tra le due procure, risolto grazie all’intervento dell’allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, che convocò tutti i pubblici ministeri in un faccia a faccia romano.

E così anche il Csm, che nel frattempo aveva aperto un fascicolo, archiviò il caso. La divergenza di vedute si ripropone nel caso di Consolato Villani, ex killer della ‘ndrangheta. Tra le cose riferite dal pentito c’è la sua partecipazione, quando aveva appena diciassette anni, a tre agguati contro i carabinieri. Deponendo al processo sulla Trattativa Villani ha sostenuto che le tre azioni punitive contro i militari, avvenute tra il dicembre del ’93 e il febbraio del ’94 nei presi di Reggio Calabria, facevano parte di “un attacco contro lo Stato che comprendeva anche le stragi siciliane”.

Il 18 gennaio ’94 una raffica di mitra uccise Antonino Fava e Vincenzo Garofalo.Secondo i pm palermitani, non può passare inosservato il fatto che la data sia prossima al 21 gennaio ’94, giorno in cui – ha raccontato Gaspare Spatuzza – il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, gli raccontò che i calabresi si “erano mossi uccidendo i due carabinieri” e facendo poi riferimento all’attentato allo Stadio Olimpico di Roma, fortunatamente fallito, come un “contributo” offerto da Cosa nostra ad una comune strategia. Villani ha aggiunto che parecchio tempo dopo un suo cugino gli avrebbe detto che dietro gli agguati calabresi e la stragi siciliane c’era la mano dei servizi segreti deviati.

Ci fu, dunque, un’unica regia? Mentre a Palermo si batte questa pista, a Caltanissetta i pm chiedono cinque nuovi ergastoli per la strage di Capaci, quelli per gli uomini del clan di Brancaccio, ma non danno valore alle dichiarazioni di Villani. “Ha riferito solo cose de relato”, dicono. E cioè apprese da altri e su cui non si può fare affidamento. Così come, nel corso del processo, hanno scartato la ricostruzione, che tante polemiche ha suscitato, dell’ex pm nazionale antimafia Gianfranco Donadio. Secondo Donadio, infatti, per l’Attentatuni di Capaci sarebbe stata utilizzata una doppia carica esplosiva grazie all’intervento dei servizi segreti deviati. Il lavoro di Donadio è il frutto di un’indagine “parallela” che solo di recente, a distanza di anni dal suo inizio, è stata stoppata e denunciata. Donadio se n’era andato in giro per le carceri italiane ad ascoltare indagati e pentiti con l’obiettivo di trovare il bandolo di una matassa nelle indagini sulle stragi di mafia del ’92. Eppure già cinque procure – Palermo, Caltanissetta, Firenze, Catania e Reggio Calabria – lavoravano e lavorano sugli stessi fatti. L’indagine di Donadio avrebbe pregiudicato il lavoro dei pm “ufficiali”. Ed è scattato un procedimento disciplinare per il magistrato nel frattempo diventato consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro.

Torniamo a casa nostra, dove la divergenza è netta. Per i pm Dodero e Luciani, assieme all’aggiunto Sava, i racconti di Villani sarebbero inutili, mentre a Palermo i colleghi Teresi, Di Matteo, Tartaglia e Del Bene li prendono in seria considerazione. Due modi opposti di valutare una stessa cosa. (di Riccardo Lo Verso, fonte livesicilia.it)

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