E’ morto lunedì pomeriggio l’attore Bud Spencer alias Carlo Pedersoli. Lo annuncia all’Ansa il figlio Giuseppe Pedersoli: «Papà è volato via serenamente alle 18.15. Non ha sofferto, aveva tutti noi accanto e la sua ultima parola è stata “grazie”». Era nato a Napoli il 31 ottobre 1929. “Quando il Padreterno mi chiamerà, voglio andare a vedere che cosa succede. Perché se non succede niente, m’incazzo. M’hai fatto alzare ogni mattina per ottantasette anni per non andare, alla fine, da nessuna parte? Io, di fronte a tante cose enormi che non comprendiamo, mi posso attaccare solo a lui. E sperare che quando mi chiamerà, mi si chiarirà tutto. Perché oggi, mi dia retta, non si capisce proprio più niente”. Era già un Carlo Pedersoli affaticato, ma sempre combattivo, spiritoso, loquace quello che ci raccontava, pochi anni fa, cosa pensava del momento in cui sarebbe stato chiamato “dall’altra parte”.
Non solo comico. Bud Spencer per tante generazioni, che l’hanno conosciuto al cinema e poi nelle infinite repliche televisive, era il colosso dal cuore d’oro che menava sganassoni in coppia con l’amico Terence Hill. Indimenticabile la sua figura di omone barbuto negli spaghetti western degli anni ‘70, da “Lo chiamavano Trinità” ai vari sequel.
Carlo Pedersoli però è stato protagonista di una carriera lunga e poliedrica nella quale, accanto ai film più popolari, c’è stato spazio per il thriller (diretto da Dario Argento in Quattro mosche di velluto grigio), per il cinema d’autore con Ermanno Olmi e persino per il dramma di denuncia civile con Torino nera di Carlo Lizzani.
L’amarezza degli ultimi anni. Dopo tanti successi anche un po’ di amarezza negli ultimi anni, per essere poco considerato dal mondo del cinema. «In Italia io e Terence Hill semplicemente non esistiamo – si era lamentato – nonostante la grande popolarità che abbiamo anche oggi tra i bambini e i più giovani. Non ci hanno mai dato un premio, non ci invitano neppure ai festival». L’ultima apparizione in tv era stata nel 2010 con I delitti del cuoco, fiction di Canale 5. Nel 2015 era stato festeggiato a Napoli con una medaglia e una targa per la sua lunga carriera che gli aveva consegnato il sindaco De Magistris.
Recordman nel nuoto. Carlo Pedersoli nasce a Napoli (quartiere Santa Lucia) il 31 ottobre del 1929. Il padre è un uomo d’affari bresciano e il lavoro lo porta lontano dal Golfo quando Carlo ha appena 11 anni e tutta la famiglia si trasferisce a Roma (quartiere Parioli) nel 1940. Lasciati gli amici di scuola (tra cui Luciano de Crescenzo), il ragazzo si iscrive al liceo e a un corso di nuoto, risultando brillante in entrambi i casi, tanto che arriva all’università (corso di chimica) ad appena 17 anni. A guerra finita, però, la famiglia cambia nuovamente città, i Pedersoli finiscono a Rio de Janeiro e Carlo deve abbandonare gli studi. Farà l’operaio, il bibliotecario, il segretario d’ambasciata come nelle leggende delle star americane. Tornato a Roma, può riprendere gli studi ma soprattutto l’attività in piscina dove si segnala presto come un vero asso: nei 100 metri stile libero fa la storia, diventando il primo italiano a infrangere la barriera del minuto netto (59”5 nel 1950 sia a Salsomaggiore in vasca da 25 metri che a Vienna). Vincerà 11 titoli italiani, parteciperà all’Olimpiade di Helsinki nel 1952 e si farà notare anche come pallanotista: come centroboa con l’Italia trionfa nei Giochi del Mediterraneo di Barcellona del 1955.
L’approdo al cinema. Continua anche a studiare (questa volta giurisprudenza, laurea che porterà a buon fine nonostante gli exploit sportivi) e viene notato dal cinema nel pieno della stagione di Hollywood sul Tevere. Grazie al fisico scultoreo, viene scritturato come comparsa in «Quo Vadis?» e poi finisce sul set di «Annibale» dove non incontra mai il giovane attore Mario Girotti – Terence Hill – che diverrà il suo partner d’eccellenza pochi anni più tardi. Tocca a Mario Monicelli affidargli il primo, vero ruolo, quello del manesco Nando in «Un eroe dei nostri tempi» (1955). Chiuderà col nuoto dopo i Giochi di Roma del 1960 e tornerà in Sud America per una lunga parentesi lontano dai suoi interessi. Rientrato in Italia apre una propria società, sposa Maria Amato (la figlia del grande produttore Peppino Amato), mette al mondo i primi due figli, scrive canzoni ottenendo un discreto successo. Con il cinema la gavetta è lunga e Bud Spencer conquista il ruolo di protagonista nel western «Dio perdona io no» soltanto nel 1967 grazie a Giuseppe Colizzi. Prima rifiutato per le richieste economiche ma poi arruolato perché risulta il solo adatto alla parte di gigantesco e minaccioso partner del protagonista, Pedersoli incontra qui di nuovo Mario Girotti. I due decideranno, alla fine del film, di cambiare i propri nomi sui manifesti per attrarre il pubblico e Pedersoli sceglierà il suo in omaggio alla birra Bud e all’adorato Spencer Tracy.
I trionfi. Il successo del film è più che lusinghiero, ma sarà l’episodio successivo, «Lo chiamavano Trinità» (E.B. Clucher, 1970) a consacrare il successo personale del duo. Un vero e proprio colpo di fulmine con il pubblico che si ripeterà, infallibile, per altre 16 volte in tutto. Il clichè del personaggio è sempre lo stesso e Spencer lo riutilizzerà anche da solo: un gigante dal cuor d’oro che mena sganassoni, sorride sempre come un bambino, ristabilisce i torti e si gode la vita. Cow-boy o investigatore (la serie di Steno «Piedone lo sbirro»), avventuriero o buon padre di famiglia, Bud Spencer mette perfino a punto un tipo di pugno a martello che lo renderà inconfondibile.
Il lutto. Con Bud Spencer «Scompare un grande interprete del nostro cinema che nel corso della sua lunga carriera ha saputo divertire intere generazioni e conquistare il pubblico con la sua grandissima professionalità», commenta il ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini che si stringe alla famiglia dell’attore morto questa sera a Roma.