Il governo Renzi è andato e va nella direzione opposta. Ha fatto sua la riforma e l’ha mandata avanti a colpi di maggioranza: peraltro con maggioranze che sono cambiate mano mano che si andava avanti nei voti in Parlamento, sì che non si comprende oggi quale
visione rifletta. Con pretesto della riduzione dei costi – che alla prova dei fatti non ci sarà – ha ridotto il Senato a un luogo di passaggio per consiglieri regionali e sindaci senza poteri realmente significativi. Le competenze di palazzo Madama restano peraltro poco chiare e saranno causa di contenziosi davanti alla Corte costituzionale: la discussione sulle procedure di formazione delle leggi, aumentate e rese più complicate, supererà abbondantemente il confronto sulla sostanza delle leggi.
Se alla riforma si collega la nuova legge elettorale, l’Italicum, che attribuisce al partito vincitore del ballottaggio (se al primo turno non ha superato il 40% dei voti) un premio di maggioranza pari al 55% dei seggi nell’unica Camera realmente deliberante – la Camera dei deputati -, è facile concludere che il soggetto istituzionale più significativo diventa il Governo, eletto da una minoranza di italiani, che al primo turno può essere anche esigua. Si immagini che – come alle ultime amministrative – votino meno del 60% di elettori e che il primo partito consegua il 25% dei voti, quindi il 12% circa di consensi reali: è giusto che abbia poi il 55% dei seggi?
Questa valutazione prescinde da chi governa: la dottrina sociale della Chiesa insegna il dovere di proteggere e promuovere i corpi intermedi, che l’attuale premier intende “disintermediare”, come ha dichiarato, perseguendo la concentrazione del potere in un solo soggetto. Alleanza Cattolica indica il “no” al referendum – non per ultimo – perché ricorda l’arroganza con cui il Presidente del consiglio ha imposto al Parlamento e agli
italiani le legge sulle c.d. unioni civili: un esempio significativo, nella forma e nella sostanza, di quanto accadrà in via ordinaria con le nuove norme.