Davanti alla lapide che ricorda il martirio di Aldo Moro, in via Caetani, (luogo simbolico scelto per questo dalle BR per consegnare il cadavere dello statista a metà strada tra le sedi della DC e del PCI, il 9 maggio 1978) è andata in scena una performance che non occorre commentare: la corona del Presidente della Repubblica, centrale secondo il cerimoniale per rango istituzionale, è stata sbrigativamente spostata di lato per fare posto al centro alla corona inviata da Matteo Renzi, non nella veste di Presidente del Consiglio dei Ministri ma nella qualità di segretario del Partito Democratico, in nome del quale, evidentemente, rivendica l’eredità di Aldo Moro. O meglio il copyright, o il brand, come probabilmente preferirebbe dire.
Uno sgarbo senza precedenti al Capo dello Stato, non tanto in termini di protocollo, quanto in termini di rispetto delle istituzioni e della loro funzione rappresentativa delle leggi che regolano la vita democratica del nostro Paese. Una sgomitata arrogante, arbitraria, un atto di prepotenza consumato proprio “in onore” di una vittima della violenza politica, la più importante nella storia della Repubblica italiana.
Il Presidente Mattarella non era presente in via Caetani, dove ogni anno si affollano le telecamere a documentare la passerella dei governanti pro-tempore davanti al simbolo dell’annientamento della idea stessa di una politica “alta”, progettuale, capace di unire, di costruire dialogo, coraggio di pensare ad una realtà che non sia già stata scritta dai poteri forti che governano il mondo.
Il Presidente era a Torrita Tiberina, nel piccolo cimitero di paese dove riposa il corpo di Aldo Moro, sepolto lì per volontà della famiglia, che non aveva voluto telecamere al funerale, e aveva disertato la cerimonia di Stato in S. Giovanni in Laterano, con la Messa celebrata dal Papa, Paolo VI, davanti a tutte le autorità istituzionali del Paese. Ma senza il cadavere di Aldo Moro, che la famiglia aveva inteso così sottrarre all’uso pubblico della sua memoria da parte di chi non aveva voluto e saputo difendere la sua vita e il suo progetto politico.
Allo stesso modo, nella discrezione silenziosa dell’autenticità, l’ultimo dei morotei della politica italiana, il Presidente Mattarella, rendeva omaggio di persona, in forma privata, in quel piccolo cimitero, all’essenza sostanziale della democrazia che Moro ha rappresentato in vita, e che la marginalità voluta della sua sepoltura continua a rappresentare dopo la sua morte. Lo ha fatto senza “corona”, ma con un cuscino di fiori, simbolo di pace nel riposo, non del potere umano. Lo ha fatto pregando in silenzio, da solo, senza microfoni, senza dichiarazioni, con l’unica telecamera del servizio documentazione del Quirinale.
Si può dire tanto di più con l’assenza, di fronte al chiasso dell’esibizionismo mediatico, così come con il silenzio di un’esperienza vissuta con autenticità. Scegliendo di stare al posto giusto nel momento giusto, senza inseguire l’agenda della politica-spettacolo, ma declinando, senza clamore, l’agenda delle priorità sostanziali.
E restituendo spessore alla memoria, valore alla storia, intesa come responsabilità per il presente, non come “evento” da consumare nel giro dei TG. Sul senso civile e politico dei Sepolcri Ugo Foscolo aveva scritto le cose migliori già 200 anni fa.
Sono due stili differenti, antitetici, di intendere e di testimoniare la politica e la rappresentanza democratica, quelli di Mattarella e di Renzi.
E sullo stile di Mattarella, sulla sua comunicazione silenziosa, i media “governativi” scivolano spesso nel sarcasmo accreditandone un’interpretazione di irrilevanza politica, o, peggio, di distanza connivente.
Il giudizio degli Italiani è affidato al discernimento consapevole di ciascuno. Anche se i sondaggi sono inequivocabili, sul gradimento dei due. Persino i sondaggi.