Apparentemente scontate allora le risposte del giovane Riina, dissociate dalla percezione del contesto criminale in cui sono maturate, il contesto che ha nutrito e coltivato il “male assoluto”, la mafia, sistema di annientamento della libertà delle coscienze e del rispetto della dignità umana. “I morti li rispetto tutti”, pontifica il delfino del Capo dei capi di fronte alle domande, garbate, fin troppo, di Vespa, sulle vittime delle stragi. Nessuna dichiarazione che chiarisca come intenda rispettare i vivi, rispetto all’uso sistematico della violenza, che nell’intervista sembrava assente, in dissolvenza rispetto al viso paffuto e allo sguardo volutamente inespressivo del giovane boss (già condannato per associazione mafiosa e che ha scontato per questo otto anni e dieci mesi di carcere). Della mafia non parla: una cosa di cui non si parla non esiste. Lo aveva già sostenuto suo padre al maxi-processo, rispondendo come un sofista della Magna Grecia alla domanda del Presidente Giordano su come i mafiosi chiamassero Cosa Nostra: “non la chiamavamo” aveva risposto. Chiusa la questione. E la retorica dei sofisti è stata la struttura portante dell’intervista rilasciata a Vespa (e poi visionata e autorizzata con liberatoria, come da contratto): luoghi comuni, omissioni mirate, normalizzazione del contesto criminale descritto come assente dalla vita e dalla crescita del giovane Riina. Figli che non vanno a scuola, che dichiarano un cognome diverso dal proprio, che sanno da tutti i media che il proprio padre è definito il capo dei capi e non si fanno domande, non gli chiedono niente, mai, non hanno la curiosità di voler capire quella condizione, di cui si limita a dire che per loro “era come un segreto di famiglia, di cui non si doveva parlare”. Omertà antropologica, genetica, quasi lombrosiana. L’intervista, ha dichiarato Vespa, aveva un obiettivo di informazione, anzi, quasi didattico: “se si vuole combattere la mafia bisogna conoscerla”, ha pontificato il ciambellano della terza Camera per sostenere i suoi argomenti. Può essere vero, ed è legittimo che un giornalista possa offrire al pubblico un’intervista esclusiva per accendere una luce e aiutare a comprendere un fatto criminale. Ma allora (specialmente se si sta nel servizio pubblico) si offrono al pubblico anche strumenti interpretativi che non diano all’intervistato l’enorme vantaggio di parlare dagli schermi televisivi che, come certificano gli scienziati della comunicazione, legittimano di per sé, in gran parte, la veridicità dei contenuti che trasmettono. Si analizza l’intervista e se ne decodificano i messaggi, quelli espliciti e quelli sottintesi, come di ogni “caso clinico” di cui si deve documentare l’anamnesi, la diagnosi e persino la prognosi, se si vuole essere scientifici. Si chiamano a farlo esperti della comunicazione, magari di diverse scuole di pensiero, psicologi, criminologi, sociologi specializzati, si svelano i meccanismi del non detto, si ricostruisce il campo semantico in cui quello che l’intervistato dichiara può essere iscritto, i significati impliciti, le citazioni, le simbologie. Pensare di equilibrare la situazione con gli ospiti che sono stati coinvolti nel salotto di Vespa è stato un errore duplice: un’offesa a tutti gli italiani onesti (e non solo alle vittime della mafia) perché non si possono mettere sullo stesso piano vittime e carnefici; e un vantaggio ancora una volta offerto all’intervistato, contrapposto, nella sua “normalità” rassicurante, al giovane Schifani, irrigidito in una divisa ottocentesca che ancora prima che parlasse lo presentava come “alieno” rispetto ai ragazzi della sua generazione. Che dire poi dell’avvocato dei pentiti, a cui è stata offerta una tribuna pubblicitaria di prima grandezza, che si esprimeva con un codice comunicativo poco distinguibile da quello dei mafiosi, e che era stato chiamato probabilmente per impersonare la “voce della Legge”? Perché è nella zona grigia della società che si può vincere la guerra contro la mafia e il suo ordine simbolico, non tra chi ha già le idee chiare, ma tra chi pensa di non doversi schierare e di potere rimanere neutrale, indifferente, come se la cosa non lo riguardasse. Per questo non è un giudizio moralistico quello da esprimere sull’intervista a Riina jr., ma un giudizio civile, culturale, politico, rispetto ad un crimine possibile, che diventa l’apologia della mafia, se non si rende limpida, inequivocabile, la comunicazione. La “puntata riparatoria” che si preannunzia a “Porta a porta” seguirà probabilmente lo stesso schema. Speriamo che non peggiori la situazione. La presenza di Angelino Alfano non lascia sperare bene in questo senso. Fiorella Falci
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Grazie Marcello..... ottima l'osservazione sull'Antimafia che, se non compresa bene diventa pericolosa quanto la mafia. Falcone, in risposta ad un noto politico palermitano, molto impegnato a parole, disse che la cultura del sospetto non è l'anticamera della verità ma del komeinismo (uno è morto e l'altro no). Ricordiamoci una polemica ed un attacco di un politico, poi divenuto presidente della regione (apposta in minuscolo) Sicilia, che attaccò Falcone frontalmente in una diretta TV nazionale. Abbiamo avuto il coraggio di votare quella persona che, poi, è stata condannata per mafia. Ma che popolo siamo. Fermo restando che la responsabilità penale è una cosa quella politica altra, si può essere assolti perchè per una condanna gli elementi devono essere certi ed univoci. Dovremmo fare vedere, ogni giorno, spot pubblicitari con evidenziate le stragi mafiose (Chinnici, Pizzolungo -dimenticata, Falcone, Borsellino, Firenze, Milano, Roma e tante altre), poi fare vedere il pensiero di certi politici nei confronti di chi, in vita, combatteva la mafia.
Avanti al Processo di Beatificazione . . .
Si lamenta ! solo Diciotto Ergastoli !
I Pentiti sono dei Sbirri ed degli Infami ! Sono Tutti dei Bugiardi !
La Mafia ! Non esiste ! Nulla !
Tieni in considerazione solo il Quarto Comandamento !
Ed il Quinto ! ??? non esiste ??? Per questa Gentaglia . . .
Vergognaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa ! Rai .
Tutto giusto e davvero impossibile da non condividere.
Quello che mi lascia amareggiato sono i pochi commenti . La gente ormai è attratta da altro , è attratta da eventi leggeri, di gossip e non a caso disarmanti palinsesti televisivi fanno il pieno di audience.
Io ho ascoltato attentamente l'intervista di Riina e ho colto come il giovane è davvero educato bene; educato a quella cultura che appartiene alla sua famiglia e della quale suo padre ne è il maggiore testimonial.
E' quella cultura che ha ucciso e continua ad uccidere la Sicilia è quella cultura fatta di omertà , di messaggi, di detto e non detto, ma detto.......è quella cultura che va combattuta con la cultura opposta;
ecco , l'intervista di Vespa avrebbe un senso se nelle scuole venisse presa ad esempio per spiegare alle giovani generazioni come non bisogna essere, cosa devono combattere, qual'è la cultura da debellare, cos'è che sta uccidendo la sicilia, quale libro non comprare e non leggere mai, cosa non devono mai diventare, a cosa si devono ribellare.
Penso però che ciò non sia successo o forse è successo in rari casi, mi pare invece che l'opinione pubblica è molto più concentrata sul tema dell'opportunita della messa in onda dell'intervista che sull'utilizzo che della stessa andrebbe fatto; forse parlare di riina terrorizza ancora , fa paura, spaventa, ma se è cosi siamo davvero sconfitti in partenza; io francamente, avendo la cultura opposta a quella messa in bella mostra da riina figlio, sono più spaventato "dall'antimafia" perchè è più terrrorizzante immaginare di essere uccisi dal "fuoco amico" che non ti da il modo ed il tempo di difenderti. La mafia, invece, se sei pronto culturalmente a farlo, la combatti e lo fai sapendo bene chi è il tuo nemico.
Leonardo Sciascia fù profetico su questo argomento, ci avverti per tempo, ma forse non era una profezia "comoda" la sua.
Bellissimo articolo, mi collego anche ai commenti fatti sugli articoli in ricordo della strage di Pizzolungo e della crisi economica che, in Sicilia, assume contorni drammatici. Commentavo tali articoli definendo montagna di cacca la mafia, reputandola in buona parte responsabile dello stato i. N cui versa la nostra Amata Terra. La cosa che mi colpisce è che nessuno tranne due richiesto ha concordato o comunque approvato il mio pensiero....... Questa e la mafia..... Ricordiamoci che la Sicilia ha avuto un presidente condannato in via definitiva per averla favorita ed il suo successore, al quale diversi colori politici hanno dato appoggio ha ricevuto una condanna in primo grado. Liberiamoci della mafia e della gentaglia che da essa cerca appoggi.... Per quanto nocerine, Signora Falci, il suo pensiero, sul quale concordo, si ricordi e ricordiamoci che la TV di Stato anche in passato ha dato voce a gentaglia di vario tipo mafiosi, banditi, terroristi, assassini, pedofili ecc. Bisogna sempre condannare queste condotte. Chi ha sbagliato, ed ha pagato, è giusto che si faccia una nuova vita ma nell'ombra . Dovremmo sempre condannare queste condotte. Giusto per parlare dei terroristi, liberi dopo avere insanguinato il nostro Stato, ad alcuni sono stati offerti lavoro, pubblicità ed incarichi anche pubblici. Ricordiamoci i festeggiamenti fuori luogo che hanno accompagnato il rientro in Italia della Baraldini, condannata in USA per terrorismo, nonché altri galantuomini che, mentre la mafia uccideva e trafficava droga ed altro giocavano a fare la risoluzione. Per fortuna Badalamenti è stato condannato ad una quarantina di anni in USA, uscendo dalla prigione con i piedi altrui, se anche da noi fosse così......
Bell'articolo! Lo condivido in pieno, e poi l'ultima considerazione che riguarda gli ospiti della prossima puntata è perfetta ;) ahaha