E’ la prima volta che al controverso racconto di Galatolo arriva una conferma da un ex presunto affiliato alla sua cosca, quella dell’Acquasanta: conferma rilevante, perche’ Graziano non collabora con i magistrati. Davanti al collegio presieduto da Vittorio Alcamo, il nipote del costruttore Vincenzo Graziano (l’uomo che, secondo Galatolo, avrebbe nascosto l’esplosivo per colpire Di Matteo) ha voluto “difendersi” dall’accusa di avere suggerito di utilizzare Cucuzza, pentito del clan di Porta Nuova, ma fino al momento della morte, avvenuta nel 2014, rimasto legato ai Graziano, con i quali aveva affari in comune. Proprio Cucuzza avrebbe dovuto dare indicazioni sui pentiti che vivono a Roma (e fra di loro Galatolo voleva colpire la propria sorella Giovanna, “onta” della famiglia) ma anche chiedere un interrogatorio al pm del processo sulla trattativa Stato-mafia: a causa delle condizioni di salute che poi ne provocarono la morte, il pentito avrebbe potuto ricevere il magistrato a casa e li’ si sarebbe potuto organizzare l’attentato, utilizzando armi da guerra che Camillo Graziano, abitante a Udine, avrebbe comprato in Slovenia e tenuto nascoste in Friuli. “Quella di colpire il magistrato nella Capitale – ha spiegato Galatolo – era la terza opzione, dopo il furgone imbottito di tritolo con cui volevamo colpirlo al palazzo di giustizia e dopo l’agguato nella localita’ di villeggiatura frequentata da Di Matteo, nell’hinterland palermitano”. A chiedere di uccidere il pm, “che si stava spingendo troppo oltre”, sarebbe stato il superlatitante Matteo Messina Denaro, chiamato confidenzialmente da Galatolo “il nostro fratellone”